Artista Nathan Sawaya a cura di Fabio di Gioia @ SET fino al 14/02/2016
Nathan Sawaya, classe 1973, faceva l’avvocato a New York. Un bel giorno del 2004 si rende conto che è arrivato il momento di «nuotare controcorrente», di «seguire la propria strada» e di «trovare il coraggio dentro di sé» – tutte espressioni disseminate nelle sue personali – di lasciare il lavoro di avvocato a New York e diventare un artista che lavora con i LEGO. Dalla sua prima mostra nel 2007 al Lancaster Museum of Art, l’ambiente artistico inizia ad apprezzare l’uso del mattoncino LEGO come materiale per creare arte; ne conseguono, per Sawaya, tour di esposizioni in tutto il mondo, l’apertura di due atelier (uno a New York e l’altro a Los Angeles) e commissioni su commissioni.
Da fine ottobre 2015 la mostra The Art of the Brick: sculture LEGO di Nathan Sawaya è arrivata a Roma, allestita nello spazio SET in via Tirso 14. Lo spazio espositivo è diviso in diversi ambienti, ognuno con una tematica specifica, alcuni dedicati alle opere più celebri; all’inizio della mostra la prima cosa che si nota e che ritorna costantemente è l’invito insistente a seguire Sawaya sui social: si inizia ad intuire che ci si trova di fronte a una macchina da guerra del marketing, la crew di produttori e agenti che sostiene tutta questa impalcatura sembra agguerritissima.
Appena entrati nella mostra, ad accoglierci è uno dei documentari sul lavoro dell’artista, davvero a suo agio davanti alla macchina da presa. Sawaya si prodiga nello spiegare quanto indispensabile sia l’arte, «poiché tutto può essere arte». Chi conosce un po’ di storia dell’arte contemporanea sa bene che tanto è stato fatto per mettere in discussione le tecniche e i materiali utilizzati tradizionalmente, nonché la figura dell’artista come creatore materiale dell’opera d’arte.
Le opere in LEGO sono sicuramente suggestive, The Art of the Brick è una mostra dove i più piccoli si divertono, rapiti dalla possibilità di fare loro stessi delle piccole sculture e riprodurre, perché no, quelle esposte. Ma l’arte di Sawaya più che stimolare considerazioni nuove, è citazionistica e superficiale: l’utilizzo dell’immagine divistica nella serie Dylan, Joplin, Hendrix ricorda le serigrafie warholiane, che proponevano già dalla metà degli anni Sessanta la riproduzione di personaggi famosi come beni di consumo; il rapporto figura-sfondo viene completamente tralasciato nella serie che riproduce alcune opere più note della storia dell’arte (I maestri del passato). Le didascalie e le massime proiettate sono accattivanti ma affatto interessanti: quella di Mask mette in luce come la “maschera” sia per Sawaya «uno specchio del sé autentico, perché troppo spesso indossiamo una maschera», rappresentazione della «facciata dietro cui ci nascondiamo»; oppure la didascalia di Grasp recita «non importa dove ti porta il cuore, ci saranno sempre braccia pronte a trattenerti. La sfida della vita è nel trovare la forza di liberarsi. Ho creato questa scultura per rispondere a chi mi ha detto di no nella vita».
The Art of the Brick è lontana da essere arte: innanzitutto perché a fare arte con giocattoli, franchise e oggetti pop ci si sono messe personalità ben più illustri molti anni fa (vedi Duchamp, Wharol, solo per citare i più noti); poi perché qui è facile smascherare un’operazione commerciale tout court e per nulla dichiarata, che si cela dietro l’uso del social media per invogliare alla creatività, all’espressione delle proprie pulsioni artistiche. Sawaya però non considera una cosa: che non tutti devono per forza dare sfogo alle proprie pulsioni ed esprimersi. A volte è meglio tacere.