Al via da ottobre le rassegne che @Lanificio e @Brancaleone accompagneranno i clubbomani. Coloro che hanno a cuore l’ascolto e la visione live «di un certo spessore», sia internazionale che di casa nostra. Contaminazioni, sperimentazioni, sincretismi, visual art e dancefloor di matrice elettronica.
Dove: Lanificio, Roma – Brancaleone, Roma
Quando: 17 ottobre – 19 ottobre
Guarda/Ascolta: Daudelus – Ninos du Brasil
La curiosità è tanta. Leggiamo dagli intenti progettuali del Lanificio: sono curiose le affinità tra il gizmo (il mogwai degli anni ’80) e le tendenze della musica elettronica contemporanea: sperimentazioni e campionamenti imprevedibili, stili riconosciuti che si fondono in contaminazioni generative, dove coesistono tentativi non scontati di rimodellare la materia acustica. E da quelli del Brancaleone: l’assunto di base è chiaro: basta con i soliti nomi, soprattutto basta con i soliti suoni. L’obbiettivo è quello di tornare alle origini…con “origini” facciamo riferimento a quel bel periodo in cui era l’offerta a incuriosire e costruire il suo pubblico e non la domanda a controllare il gioco. La curiosità dunque, è il tasto on che accende i dimmer e le casse degli storici contenitori di contenuti e muove i piedi del pubblico. Un giovedì al mese per il Lanificio, un venerdì al mese per il Branca.
Daedelus, acclamato artista californiano con all’attivo molte collaborazioni e album, di cui gli ultimi pubblicati con Ninja Tune, apre la rassegna del primo club. Mise da untouchable con tratti somatici gitani e un sorriso perennemente stampato in faccia. Combina l’elettronica contemporanea e basi jazz, strutture hip hop e l’uso dei più svariati strumenti, tra cui stampanti, pianole giocattolo, arpe elettriche. Finalmente un set in cui i campionamenti li puoi vedere chiaramente. Input nervosi, piccanti. Il funcky che accoglie le genuine derive rumoriste della techno. Rotolate di dub e gocce di veleno gotico nell’ambient. Bisogna ammettere che l’intero set è sempre in battere, con qualche ralenty e qualche sincope ma è anche vero che il dandy losangelino non basa lo spettacolo esclusivamente sulla composizione, che è molto articolata e sorprendente, quanto sull’enormità di oggetti sonori che elargisce, ora con forza, ora con eleganza o piuttosto suadenza. Schiaffi così fanno bene all’umore. Gustare e pregustare la propria opera, andare dietro o anticipare i propri stati creativi è una roba stupenda. Di questo si tratta: tripli tuffi carpiati di trip hop glam sull’Aniene che schizzano di godimento quel che resta del giorno. Lo spettacolo è vivo.
Il secondo venerdì del Brancaleone, in collaborazione con il Romaeuropa Festival porta sul palco i Ninos du Brasil, il nuovissimo progetto musicale dell’artista visionario Nico Vascellari. Nico specifica subito che é una finta e «non è vero che siamo brasiliani». Mezz’ora di follia pura. Un happening da Carnevale di Rio che ha sullo sfondo il filmato di un Italia-Brasile qualsiasi. Vestiti di orribili canottiere, jeans e snickers, con la faccia pitturata di bianco e una parrucca argentata, devastano il senso scenico della performance, oltrepassando il ludo festaiolo e carnascialesco, aiutati da una platea piuttosto coatta che gioca a distruggere la distruzione. Da ballare a ritmo di salsa e da godere con gli occhi. Salgono e scendono dal palco, suonano, fanno casino, lanciano cannonate di coriandoli, hanno sonagli, tamburi, urlano frasi sconnesse, mescolando basi elettroniche, rumore e ritmi down tempo ai cori e alle basi tradizionali brasileire; fastidiosi, elettrizzati e pieni di energia, si buttano tra le persone girando per la platea. La serata, gustosa, ritmica, rumorosa ed elegantemente accompagnata da tribalismi percussivi, offerta dai due bambini brasiliani (ma non erano in tre? scopriamo a fine concerto che il terzo niño si è sentito poco bene) è finita per diventare un’invasione di campi. Volumi bassi sui microfoni e spie sorde non hanno garantito un’amplificazione impeccabile che è stata fortunatamente compensata da un incessante profluvio di fisicità punk-caraibico che ha sfasciato un microfono e gambizzato un tamburo. Geniali nel loro essere a servizio di ciò che già c’è e giocarsela alla come viene viene, tanto viene bene. Forse non è spettacolo da dancefloor ma piuttosto un intervento alternative rock da inserire in luoghi più algidi e ampi per marcare la differenza con l’ascolto da clubbing e valorizzare la cifra sperimentale e pop. Ricordate Revenge? Il muro di amplificatori vincitore della quarta edizione del premio della giovane arte alla 52a Biennale d’Arte. Un moloch sonoro che turbava e stravolgeva la percezione sonora introducendo il disturbo artistico in canali importanti (non solo perché si trovava a Venezia), raggiungendo livelli diffusivi main stream in tempi assolutamente non sospetti.
Come insospettabile è il finale che ci manda «affanculo ninos».