Artista: Neda Shafiee Moghaddam
Titolo: Diario del Corpo
Luogo: Galleria Emmeotto Palazzo Taverna – Via di Monte Giordano 36 – 00186 Roma
16 gennaio - 26febbraio 2016
Dal lunedì al venerdì orario 10:30 – 13:30 | 14:30 – 19:30, sabato su appuntamento
Nella prestigiosa e affascinante cornice di Palazzo Taverna – un tempo fortezza e palazzo di rappresentanza della famiglia Orsini – la Galleria Emmeotto presenta la mostra personale dell’artista iraniana Neda Shafiee. Entrati nelle sale espositive che la ospitano, veniamo subito accolti da una moltitudine di presenze indefinite che ci introducono in un’atmosfera dal forte carattere mistico.
Si tratta delle opere della Shafiee che ci presenta un lavoro in cui si confronta con la pittura, la scultura e installazioni site specific. Un’indagine intima ma che allo stesso tempo si pone in relazione a tematiche esistenziali di più ampio respiro. Ventri rigonfi, figure stanti attraversate e penetrate da flussi di materia richiamano alla memoria simboli e figure arcaiche molto forti e suggestivi.
Colpiti dal potere delle sue opere cerchiamo un incontro con l’artista per un intervista che ci faccia capire qualcosa in più sul suo lavoro. Neda con la cortesia e la sensibilità che la caratterizzano ci accoglie nel suo studio… e così le poniamo alcune domande…
Quale è stata la spinta che ti ha portato a intraprendere la carriera artistica?
Ho iniziato quando ero piccola. Avevo tredici anni quando mia mamma vedendo che disegnavo bene mi ha iscritta ad un corso di pittura. Era un corso molto serio, tutti erano molto seri e a me piaceva tantissimo. Quando è stato il momento di decidere quale percorso dovevo intraprendere avevo pensato a medicina ma… una mattina vidi un volantino con su scritto “Concorso per l’ammissione alla facoltà d’arte” e decisi. Ho studiato scultura all’università statale ed ho avuto una formazione molto ricca da un punto di vista tecnico. Con la formazione che ho avuto in Italia all’Accademia di Belle Arti ho invece cercato di colmare i vuoti, come ad esempio lo studio del nudo e storia dell’arte occidentale.
Come mai la figura umana?
Per me è un microcosmo importante da approfondire. Sono molto sentimentale e romantica… non sono mai riuscita ad eliminarla completamente dal mio lavoro. Per me il corpo è un luogo per le esperienze, uno spazio per le sperimentazioni.
Osservando i tuoi lavori un accento particolare è posto sul concetto della creazione al femminile intesa anche come fertilità e maternità, è così? Essendo sia un’artista che una madre, quale relazione c’è tra i due ruoli e come hanno influito l’uno sull’altro?
Solitamente le mie figure non hanno sesso, soltanto dopo la gravidanza c’è stato questo stacco tra uomo e donna. Dopo la maternità ho capito che contribuire a creare una cosa nel mondo ti inserisce in un circuito in cui ti senti far parte dell’universo, è una cosa veramente mistica.
Nell’installazione – scultura Flusso 2 inserisci elementi sospesi che potrebbero sembrare una pioggia ma che invece sono proprio un flusso di eventi, come anche nei disegni. Ci vuoi dire qualcosa al riguardo?
Ho avuto dei momenti che hanno segnato veramente tanto il mio percorso personale e penso che, ogni cosa che succede nella vita, ti lascia una traccia indipendentemente dal tempo. Ci sono degli eventi che durano tanto ma lasciano poco e invece eventi che durano poco e ti lasciano molto. Oggi decisamente non sono la persona che ero tredici anni fa quando venni in Italia. Avevo 27 anni ma ero molto ingenua e guardavo con meraviglia i palazzi di Roma. Oggi sono decisamente una persona più aperta. Emigrare però ti porta i suoi vantaggi come moltissimi svantaggi…quando sono qua sento sempre una mancanza così come quando sono là… c’è sempre un richiamo. Quello che ti manca è quello che hai perso. La vita poi ti travolge…
Cosa rappresenta per te la figura geometrica del cubo solitamente presente nelle tue opere?
Il cubo nell’arte antica e moderna è stato l’argomento della mia tesi di laurea. All’inizio era una sorta di contenitore di misteri, simbolo di razionalità. Per me è una figura perfetta, mi piace come forma. Ho lavorato sempre sul contenitore anche quando utilizzavo buste di vacuum in cui mettevo i miei ricordi. In quel caso servivano a conservare e risparmiare spazio. Dopo la maternità questo contenitore è diventato un contenitore di vita e speranza. Ho visto che anche le mie forme sono diventate più morbide e c’è stato un cambiamento anche dello sguardo verso l’esterno. Non sei solo te e diventi più aperta e sensibile verso i disagi del mondo.
Ci incuriosisce l’opera con la figura appesa ed a terra, la barca con gli animali ed il filo disposto in una sorta di spirale, di cosa si tratta?
Nell’installazione tratto il percorso della vita dalla nascita, sopravvivenza e morte, è un ciclo che non si chiude. Penso che tutto quello che succede nella nostra vita è nelle nostre mani ed il valore che tu crei non va perso nell’ambiente. È un lavoro sulla speranza.
Che parte ha il gioco nei tuoi lavori?
Presi i giochi di mio figlio per l’installazione di cui abbiamo parlato. Li ritengo oggetti graziosi, esteticamente belli. Non mi piacciono i giocattoli di plastica sono arroganti, li ritengo un’offesa alla natura. Si tratta di un gioco estetico quello che faccio con le forme. Il gioco è entrato perché ora fa parte della mia vita.
Nei disegni tutto è reso attraverso la fluidità della materia (colore), che rapporto c’è con le sculture?
A me piace molto la trasparenza e la china ti dà la possibilità di agire su più livelli. Anche nelle sculture ho sempre cercato di non bloccare lo sguardo, non voglio che si fermi sulla superficie degli oggetti ma che li attraversi. La china allo stesso tempo da leggerezza e trasparenza ma, se si carica, è in grado di dare pesantezza e profondità.
Come sei arrivata alla scelta della cartapesta nelle sculture? È legata al senso di leggerezza?
Ho fatto sempre sculture in bronzo ma ho trovato nella cartapesta il materiale che ben si adatta al mio lavoro. Un po’ sostituisce la creta, perché diventa una pasta molto morbida da modellare, ed in più è un materiale estremamente povero che ti dà un senso di leggerezza. Inoltre cattura le tue impronte e riesce a rendere l’effetto di superficie frastagliata.
Come sei arrivata a queste forme?
Ho cercato sempre di semplificare e rendere più essenziali le cose. Così sono anche nella vita, dato che sono abituata a fare traslochi. Mi sono rieducata a non avere molti legami con gli oggetti ma le cose che mi piacciono le tengo. Provenendo da una formazione classica, per me il lato estetico è molto importante, non riesco a fare soggetti crudi. Cerco di aggiungere elementi che esteticamente arricchiscono. Tutti noi abbiamo la forza di togliere tutto quello che non ci fa stare bene, basta volerlo profondamente.