Dopo la presentazione allo scorso Festival di Spoleto, il Teatro dei Conciatori ospita Incantevole, dal 21 maggio al 2 giugno 2013. L’opera, scritta dal drammaturgo e regista americano Neil LaBute e diretta dal collega italiano Marco Calvani, si inscrive nel progetto AdA, Author directing Author, da loro stessi creato.
Incantevole
di: Neil LaBute
regia: Marco Calvani
traduzione: Luca Calvani
con: Urbano Barberini e Elisa Alessandro
Dal 21 maggio al 2 giugno 2013
Teatro dei Conciatori, Roma
Il progetto AdA, ideato da Nail LaBute e Marco Calvani, prevede che la direzione scenica di uno spettacolo sia affidata a colui che non ne è il creatore; è così che durante la scorsa edizione del Festival di Spoleto, il palcoscenico del Teatro delle 6 ha ospitato Roba di questo mondo di Calvani, ma diretto da LaBute, e viceversa, Incantevole – Lovely hand scritto da Neil Labute, ma rappresentato con la regia di Calvani. L’obiettivo del progetto AdA è quello di sviluppare un tema di partenza attraverso due testi, scritti da autori provenienti da diverse esperienze culturali e sociali, in questo caso quella americana e quella italiana, e sottoporlo successivamente alla sfida della trans-culturalità nello scambio di ruoli.
Il tema scelto per la prima sperimentazione è la famiglia, in particolare la conflittualità cui l’ambiente familiare è connesso e le problematiche estese anche al livello sociale che da questa derivano. La pièce di Neil LaBute, interpretata nella versione italiana da Urbano Berberini e Elisa Alessandro, ritrae il rendez-vous della durata di un’ora che un uomo di mezza età paga ad una giovane prostituta. L’incontro tra i due è evidentemente inusuale e lo mostra con chiarezza la macchietta dell’impacciato cliente impersonata da Urbano Barberini: tuttavia l’inadeguatezza del personaggio non è dovuta ad un incontro siffatto in sé, ma al fatto che tale incontro si verifichi proprio con lei, Elisa, così lontana adesso dal suo presente eppure a cui si sente ancora così legato.
Senza svelare il finale, basti dire che il collettivo – duo ancora per poco, vista l’imminente avvento di una terza dimensione nazionale, la drammaturga e regista francese Nathalie Fillion – si propone di attingere le tematiche da affrontare dal calderone delle esistenze tragiche di personaggi che popolano la nostra contemporaneità.
Unica pecca, la conseguenza negativa più diretta della tras-culturalità che il progetto di partenza si prefissa, ovvero il rischio di non riuscire a connettere i due contesti nazionali, e in questo modo presentare al pubblico un’opera da esso distante. Rischio che grava sui dialoghi costellati di motti e modi di dire tipicamente americani, o su umorismo abbastanza distante dalla realtà italiana o ad esempio sullo stereotipo dell’uomo preda di piccoli disturbi ossessivi che in Italia è arrivato solo attraverso l’Oceano.