Nightcrawler – Lo Sciacallo, di Dan Gilroy, USA 2014, 117′
Produzione: Bold Films
Distribuzione: NOTORIUS Pictures
@ al cinema dal 13 novembre 2014
Alla rappresentazione del self-made man americano mancava una figura in grado di collegarsi a tutta la deriva anestetica prodotta nella società contemporanea dalle immagini sensazionalistiche della tv del dolore. È un onore dunque conoscere il cinico Lou Bloom e la sua attività di sciacallaggio sui generis: un avvoltoio che non si nutre della carogna di turno, ma della sua immagine attraverso brandelli visivi catturati e da mettere quotidianamente sotto agli occhi dell’impassibile spettatore di turno.
Registrare e poi rivendere. È questo il compito di Lou, esaltato nella sua caratterizzazione dalla splendida interpretazione di un Jake Gyllenhaal dimagrito dieci chili e che con la sua voce stridula, la sua parlantina ossessiva e gli occhi da invasato, mostra l’escalation di quest’avvoltoio documentario un po’ retrò di fronte alla continua richiesta di “reportage” sanguinolenti. Alla domanda della tv privata a cui offre i suoi servizi Lou risponde sempre con offerte migliori.
Ovviamente a Dan Gilroy, alla sua opera prima, non interessa giudicare il lavoro di Lou secondo un codice etico professionale; egli piuttosto si nutre, come il suo protagonista, di questa “pornografia del dolore” in cui qualsiasi tipo di sentimento compassionevole è escluso. Il suo è un tentativo, pienamente riuscito, d’inserirsi nella realtà di questo iconodulo freelance contemporaneo che vive in un’atmosfera notturna e straniante alla Taxi Driver. Gilroy implementa il suo noir con scene degne dei migliori action movie; la sua mdp – che raramente trapassa in quella del protagonista non sottoponendo dunque il film a un proficuo lavoro intermediale – osserva l’evoluzione/scalata di Bloom, si focalizza sul suo sguardo freddo e lucido da esaltato e si muove tra l’interno e l’esterno della sua automobile arrivando a trasformarsi in una camera car che fiuta il dolore e la morte a distanza di chilometri nei meandri e nei sobborghi di Los Angeles – scene così curate con le automobili non si vedevano dal Drive di N. Winding Refn.
Lou registra l’accaduto fregandosene completamente della sua funzione testimoniale e badando soltanto al suo compenso. Nei suoi servizi non c’è alcun processo di riestetizzazione dell’immagine: il montaggio nelle riprese è minimo e mira soltanto all’esplosione del risvolto sensazionalistico intrinseco alla diffusione mediatica dell’evento. Una folle attività commerciale che include il trapasso dall’elemento puramente documentaristico di registrazione del fatto accaduto alla costruzione, nel finale, di un’architettura semifinzionale. Lou – ed è qui che Nightcrawler sfoggia tutta la sua notevole qualità/potenza immaginifica – arriva a chiedere al suo assistente, durante un inseguimento, un grandangolo, come se ci trovassimo nel bel mezzo di una sequenza filmica da girare e senza tenere conto, a primo vista, degli effetti di ritorno del reale.
Ci troviamo così, in quest’opera estremamente originale, immersi in uno spartiacque: al di là del testimone e al di qua della testimonianza.