Chiude la stagione concertistica 2012/13 della Iuc il progetto diretto da Moni Ovadia Noi/Altri, incentrato sulla contaminazione musicale tra le culture europee. Sul palco la Moni Ovadia Stage Orchestra e l’Ensamble Nuovo Contrappunto, diretto da Mario Lancillotti, che propongono un dialogo tra le musiche popolari e la cosiddetta “musica colta” a dimostrare quanto la tessitura musicale non abbia etichetta nè nazione, ma appartenga ad una tradizione unica e condivisa.
Moni Ovadia Stage Orchestra
Clarinetti: Ennio D’Alessandro, Paolo Rocca Tromba: Massimo Mercer Violino: Ion Stanescu Fisarmonica: Florian Albert Mihai Cimbalom: Marian Serban Contrabbasso: Isac Tanasache
Ensemble Nuovo Contrappunto
Flauto: Silvia D’Addona Clarinetto: Marcello Bonacchelli Violino: Andrea Farolfi, Pino Tedeschi Viola: Rita Urbani Violoncello: Alice Gabbiani Contrabbasso: Francesco Tomei Pianoforte: Matteo Fossi Voce: Silvia TocchiniDove: Aula Magna del Rettorato, Università La Sapienza di Roma Quando: martedì 11 giugno 2013 Info: Sito Istituzione universitaria concerti (IUC) Sito ufficiale di Moni Ovadia Ascolta: Contrasts di Bela Bartòk Soro Lume cantata da Maria Tanase
E’ con lo spirito della narrazione musicale che si apre l’ultimo concerto della stagione dell’Istituzione Musicale Concerti, articolato dalla voce di Moni Ovadia e sostenuto dalla presenza di due orchestre sul palco, in un continuo scambio di suggestioni melodiche. Noi/Altri è un racconto sulle tradizioni e sulle musiche europee e la loro mescolanza, a partire dalle influenze del canto popolare sulla musica cosiddetta “colta” fino a tracciare il profilo di un’incessante contaminazione artistica e culturale collettiva, dimostrando quanto l’esperienza musicale sia un patrimonio condiviso e unificante.
Il concerto si apre con l’interpretazione orchestrale della celebre Danza Ungherese in sol minore eseguita da violino e cimbalom (un cordofono a percussione, costruito dallo stesso suonatore!) da due musicisti della Moni Ovadia Stage Orchestra, Ion Stanescu e Marian Serban,che esemplificano grazie al loro virtuosismo la raffinatezza della melodia, di estrazione popolare, mutuata da Brahms ed eseguita successivamente dall’orchestra classica.
Da qui si snodano le storie sulla vicinanza tra le tradizioni europee, che sfondano la barriera del razzismo grazie alla musica e alla cultura: l’attore bulgaro arricchisce l’ascolto raccontando dell’esperienza di Charlie Chaplin, poi di Franz Liszt, che definì la musica rom “magica e mistica”, e di grandi personalità che con il loro percorso artistico espressero il concetto di fratellanza dei popoli.
Fondamentale testimonianza, in questo senso, è la ricerca musicale di Bela Bartòk, espressa in “Scritti sulla musica popolare” oltre che nella riproposizione delle melodie tradizionali in pagine musicali come le “Danze Rumene” suonate sul palco. “Non è l’erudizione che fa la grande musica”: così si esprimeva Bela Bartòk nei suoi scritti, seguiti a strenue ricerche delle melodie popolari all’insegna del recupero della tradizione, così come fecero anche Koday ed Enescu,rielaborando continuamente il materiale musicale raccolto. L’effetto all’ascolto è invece di fascinazione per il virtuosismo e per la ricchezza cromatica, ad esempio con la Ciocarlia (=allodola), canto tradizionale romeno, o con Soro Lume (=Signora Gente), tra i brani preferiti della celebre cantante rumena Maria Tanase.
Risulta naturale muovere dalle contaminazioni musicali al concetto di sensibilità comune e di tolleranza tra i popoli, così Moni Ovadia illustra le caratteristiche delle musiche della tradizione ebraica, caratterizzate dalla cantillazione e dalla litania. Shostakovich sosteneva che nella musica ebraica “ci sono riso e pianto”, una commistione di dramma e di ironia, così come spiegano le note dei suoi splendidi Tre Canti Ebraici intonati dalla voce di Silvia Tocchini. E’ una musica che presenta “l’esilio dentro di sé”, il dolore della lontananza dalla patria e dell’emarginazione sociale, vissuta personalmente da musicisti come Arnold Schönberg e Alban Berg (illuminante in questo senso è anche l’esperienza di Daniel Barenboim, con la fondazione della Divan Orchestra).
Con due danze tradizionali ebraiche, la Wedding dance e il canto Oy Rumenye si chiude la serata, dopo aver ricordato, con il Rapporto americano sull’Immigrazione del 1912, quanto tutti, anche il popolo italiano, sia stato vittima di razzismo ed incomprensione, suggerendo in tal modo una riflessione profonda sulla tolleranza e sulla capacità dell’arte di guardare oltre i confini.