Nordic Film Festival: Submarino

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Durata 105’,

Regia Thomas Vinterberg (2010),

Sceneggiatura Tobias Lindholm, Thomas Vinterberg,

Soggetto romanzo Submarino di Jonas T. Bengtsson,

Montaggio Valdis Oskarsdottir, Andri Stein Gudmundsson

Musiche Kristian Eidnes Andersen, Thomas Blachman,

Produttore Morten Kaufmann,

Interpreti Jakob Cedergren (Nick), Peter Plaugborg (fratello di Nick).

Nell’elegante cornice della Casa del Cinema, all’interno di Villa Borghese, si è svolto, da giovedì 3 a domenica 6 maggio, il Nordic Film Festival. Durante la manifestazione sono stati proiettati film in lingua originale di registi provenienti dalle tre nazioni della penisola scandinava – Finlandia, Norvegia, Svezia – e dalla Danimarca. Uno dei film più attesi – nella sala Deluxe, infatti, non era rimasto nemmeno un posto a sedere – era Submarino (2010) di Thomas Vinterberg.

Sullo schermo appare un lenzuolo bianco e si sentono i pianti di un bambino. Due adolescenti si occupano del fratellino, lo battezzano col nome di Martin, tra alcol, sigarette e musica. La madre dei tre bambini è una donna debosciata e, alcolizzata fino al midollo, se ne frega di loro. Il neonato, tra incuria e stenti, muore. Queste scene iniziali sono “soltanto” un flashback. Subito dopo, ritroviamo Nick, il fratello più grande, oramai adulto. Alle prese con l’alcol, egli vive in un “pensionato per sbandati”, fa sesso con la vicina, intrattiene inutili conversazioni con Ivan – maniaco un po’ sessuofobo, un po’ sessuomane – e si sfoga in palestra mentre è alla ricerca del fratello, con il quale non si parla più da tempo. Il fratello, appunto – di cui non sapremo mai il nome -, è un tossicodipendente che, per campare, spaccia. Egli è vedovo, ha un figlio di nome Martin, proprio come quel bambino morto anni addietro e simbolo ancestrale di un lutto difficilmente elaborabile. Attorno a questa vicenda ruota tutto il film.

Le strade dei fratelli s’incroceranno nuovamente nell’attimo in cui Nick avrà oramai intrapreso il suo cammino di redenzione – di superamento del trauma – e il fratello avrà deciso di essere risucchiato, senza alcuna possibilità di salvarsi, da quel vortice assimilabile alla consapevolezza della condanna autodistruttiva. Mentre Nick passerà, infatti, per la totale negazione di sé, attivando una propria morale e arrivando, addirittura, a farsi andare in cancrena una mano, che poi sarà amputata forzatamente, il secondo sprofonderà nell’abisso della tossicodipendenza rischiando di far “deflagrare” anche suo figlio, nel tentativo estremo di salvaguardarlo e nell’insuperabilità del doppio lutto subito. Ci troviamo di fronte a un’etica della responsabilità che si ritorce su se stessa.

Il crudo realismo sociale di Thomas Vinterberg, fondatore insieme a Lars Von Trier del Dogma 95, movimento cinematografico sciolto nel 2005, ci consente di immergerci negli strati più disagiati e tetri della società danese. Il montaggio di Valdis Oskarsdottir – già montatrice in Se mi lasci ti cancello (2004) di Michel Gondry – è perfetto nel mostrare i parallelismi e le discordanze temporali delle storie intrecciate dei due fratelli.

Submarino è la metafora di una condizione umana scabrosa. Un mezzo navale, già da sempre immerso nel putrido delle acque stagnanti e paludose della vita, che offre due contrapposte possibilità: tentare di emergere, nella costatazione dell’impossibilità di sopravvivere ancora a bordo, per vedere, per la prima volta, la luce del sole; oppure sprofondare assieme al sottomarino, come il capitano di una nave che, nel momento in cui tutti l’hanno abbandonata, si rende conto che non saprebbe vivere, in alcun modo, al di fuori di essa.

Il sottomarino gioca, così, il suo doppio ruolo fondamentale di semplice e guerrafondaio mezzo di locomozione e/o di luogo asfittico in cui vivere e morire. La recisione della mano di Nick, su cui era tatuata la A di Ana, nome della sua ex, è il simbolo estremo della rottura col passato, con il mondo a cui si apparteneva, e della possibile nascita a una nuova vita, di cui la scena finale è perfetta esemplificazione nel suo volgersi, contemporaneamente, al passato e al futuro. Un ultimo riferimento va, doverosamente, agli organizzatori e al festival, simbolo di un vero e proprio successo, soprattutto se si pensa che questi film sono sconosciuti alla gran parte del pubblico. E’ giusto, dunque, consigliare qualche altra pellicola:

The man who loved Yngve, Stian Kristiansen, 99′, Nor 2008;

Miss Kicki, Hakon Liu, 88′, Sve 2010;

Lapland Odissey, Dome Karukoski, 92′, Fin 2010;

Sound of noise, Ola Simonsson, Johannes Stjarne Nilsson, 102′, Sve 2010

Buona nordica visione!

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Autore

Lorenzo Cascelli

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Estetica nel 2012 con una tesi su "The Tree of Life" di T. Malick e "Melancholia" di L. von Trier presso il dipartimento di Filosofia dell'università "La Sapienza" di Roma. Caporedattore prima di Arte e Libri e poi di Cinema presso Pensieri di Cartapesta, da Aprile 2014 sono direttore editoriale di Nucleo Artzine.

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