Domenica 14 aprile alla Casa del cinema di Roma si è conclusa la seconda edizione del Nordic Film Festival, la fortunata e applaudita rassegna che ha visto una grande partecipazione da parte del pubblico romano. A chiudere la manifestazione è stato Trollhunter, un film norvegese del 2010 – presentato in anteprima al Sundance Film Festival del 2011 – uno spassosissimo mockumentary firmato dal regista André Øvredal.
Trollhunter di André Øvredal, Nor 2010, 103’.
Soggetto e sceneggiatura: André Øvredal.
Fotografia: Hallvard Bræin.
Visual F/X: Marcus Brodersen.
Montaggio: Per Erik Eriksen.
Produzione: Filmkameratene AS – Production Company.
Produttore: Sveinung Golimo.
Produttore esecutivo: John J. Jacobson.
Cast: Otto Jespersen, Glenn Erland Tosterud, Tomas Alf Larsen, Johanna Mørck, Urmila Bag-Domaas.
I troll esistono davvero e vivono nascosti nelle foreste norvegesi. Trollhunter – la pellicola che ha chiuso la seconda edizione del Nordic Film Festival alla Casa del cinema di Roma – è una vera e propria burla, un esilarante scherzo cinematografico lungo 103 minuti. André Øvredal realizza un mockumentary intrecciando tutte le convenzioni del genere con il paradosso di una storia palesemente irreale. Agli occhi dello spettatore l’inganno non viene mai esplicitato come tale, persino quando sullo schermo appare il primo troll – o meglio la sua immagine digitalizzata – il binario narrativo resta immutato. La pellicola resta un documentario sino alla fine e il merito principale del regista sta proprio nell’aver mantenuto sempre viva l’impostazione documentaristica in tutta la sua serietà. Un po’ come declamava Alberto Sordi ne Il marchese del grillo di Monicelli: «Quando si scherza bisogna esse seri». Ed è proprio per questo che lo scherzo del regista norvegese riesce perfettamente.
La storia ha inizio con una cornice di stampo manzoniano, un finto prologo dove viene illustrato come il “documentario” sia frutto del ritrovamento delle misteriose riprese che stanno per essere proiettate. Le indagini della polizia ne hanno attestato la veridicità e queste sono state semplicemente montate in ordine cronologico dagli autori. La parola passa quindi alle immagini che mostrano un trio di studenti intenti a realizzare un arrembante documentario sulla caccia illegale agli orsi. Thomas si presta come intervistatore, Kalle riveste il ruolo di cameraman e Johanna quello di fonico. Con ostinata e giovanile caparbietà i tre si mettono a pedinare Hans, un sospetto bracconiere dall’aria losca, nella speranza di intervistarlo. Seguendone le tracce in una buia foresta gli studenti fanno una scoperta sensazionale: i troll, i terribili mostri della mitologia nordica, esistono davvero. Non solo, il governo norvegese ne è a conoscenza e ha istituito il T.S.S. : Troll Security Service. Questa specie di servizio segreto ha il compito di monitorare la vita dei troll, abbattendo quelli più pericolosi e preoccupandosi di mascherare al resto del mondo i segni della loro presenza. Tutto questo viene raccontato loro da Hans che decide di collaborare alla realizzazione del documentario, svelando ai ragazzi tutti i segreti e gli aspetti della caccia ai troll. I ragazzi si mettono quindi a seguire il trollhunter riprendendo tutto con la loro cinepresa, ma il governo norvegese, deciso a mantenere il segreto, non ne sembra affatto contento.
La sola lettura della trama può far pensare ad una prevalenza dei toni demenziali su quelli documentaristici, tuttavia André Øvredal si dimostra un profondo conoscitore dei linguaggi cinematografici tanto da imitare e mescolare tutto alla perfezione. Guardando Trollhunter sembra davvero di essere davanti al raffazzonato lavoro di un gruppo di studenti che vorrebbero imitare il loro mito Michael Moore. Øvredal utilizza sempre la macchina a mano, con la voce del cameraman sempre fuori campo e il montaggio, frenetico ed essenziale, non tradisce le premesse del prologo. Trollhunter si rivela così uno strepitoso esperimento cinematografico che mostra come la standardizzazione di un determinato linguaggio possa rendere paradossalmente credibili anche le storie più strambe, forse proprio perché in molto casi è spesso la realtà a superare l’immaginazione.