Dove Università di Roma La Sapienza
Quando 17 Febbraio
Interpreti Gabriele Amadori,Stefano Battaglia,Michele Rabbia
L’interdisciplinarietà tra le arti nasconde quasi sempre un file rouge rappresentato dall’atto teatrale. Messa in scena di mondi che si rivelano insieme, complementari e accomunanti da logiche di costruzione molto vicine fra loro, basti pensare ai semplici termini quali figura, oggetto, colore (timbrico).
Grabiele Amadori, Stefano Battaglia, Michele Rabbia: pittore, pianista e percussionista. Non si tratta solo di una performance, di un sottofondo musicale che suggerisce una partitura visiva, un commento all’azione del pittore. Si tratta, come suggerisce l’antropologo Bellasi (a cui rimando per un breve scritto dedicato a Gabriele Amadori) di vedere la musica, ascoltare la pittura. Amadori, pittore, scenografo e didatta, avanza in scena, traccia le linee di fuga sulla tela bianca, origine della struttura scenica dove <<la crescente saturazione cromatica dello spazio comprime e imprigiona il tempo>>. Ed è quest’ultimo forse l’attore principale, il creatore che si fa suono e rappresentazione gestuale; sentire il tempo nel tracciato pittorico, osservare la materia di una melodia del pianoforte che si trasforma in figure musicali dallo stile bartokiano o donatoniano.
Un rovescio del tavolo della percezione, per rendersi conto di essere di fronte ad un Insieme di cui anche lo spettatore fa parte. Corpi e figure che si modellano, si frantumano, muoiono e nascono in una pluralità d’atti, di gesti, nella loro continua accumulazione e stratificazione. Ed è centrale intendere che la nostra visione deve essere al di là della tela e del suono. Questi corpi sono i suoni di Rabbia e di Battaglia, l’azzurro cobalto, il blu oltremare, i passi sul palco di Amadori, i metronomi e i loro battiti che metamorfizzano il tempo. È l’esserci qui ed ora a mettersi in scena: un rito collettivo e per ciò teatro. «Totale », non solo nell’accezione wagneriana in quanto interdisciplinarietà delle arti, ma anche come ri-presentazione della vita, un suo intensificarsi.
Qui tra queste tre mura,
senza uno specchio che mi faccia credere
in un qualunque quarto,
il tempo. Il tempo. Il tempo.
Tempo fittizio. Tempo personale. Miscela
sensibile di entrambi. 50% arabica.
Tempo del teatro. Allo stato puro.
Insonne.
E senza zucchero.
(J. Magnan, Un peu de temps à l’état pur.)