Una barca al centro della scena. Sopra un marinaio legato alle sue ancore come una marionetta. Se egli ondeggia, le corde ondeggiano su e giù: è lui il motore della messa in scena dei ricordi su cui lo spettatore si sta per imbarcare. Acquasanta, il primo brano della Trilogia degli occhiali di Emma Dante, si incentra sul punto di vista di un mozzo lasciato solo e povero sulla terraferma. Con la spuma alla bocca, gemella di quella del mare, il marinaio inizia un monologo martellante che diventa dialogo tra i personaggi, confusi e confondenti, che hanno avuto un ruolo nelle sue disavventure. Concitato, racconta in dialetto napoletano e facendosi capire più a gesti che a parole, le fatiche e i trucchi della vita di mare: «il modo migliore per affrontare il mare è a prua: verso il divenire». Il mare, che è tutta la sua vita, è tutto ciò di cui sa parlare. Ora che deve restare nella finzione della terraferma, non gli resta che decantare tutte le sue bellezze, «il mare è impalpabile, immenso, puro. Il mare è la guagliona mia», in una serenata nostalgica.
Nel secondo episodio Il castello della Zisa quattro croci oscillano dal cielo al sottofondo della litania litigiosa di due donne. Sono due suore che compulsivamente accudiscono un malato, che anche con gli occhiali non vuole vedere, nel continuo tentativo di risvegliarlo tramite giochi e giocolerie. Quasi per farle smettere, il ragazzo si alza, corre e grida in momenti di tormento caotico. Al suono di due bambole-carillons, egli ricorda la sua spensierata infanzia, il castello incantato e coperto di stelle. Si chiama Nicola e cerca zia Marisa. Non trovandola, non ritrovando il suo presente che ormai è già da troppo tempo passato, si agita sempre di più fino a che, esaurite le forze, cade a terra di nuovo in un coma immobile.
In Ballarini, un vecchio, alto e secco, e una vecchia, bassa e ricurva, si avvicinano l’uno all’altra dai loro bauli dei ricordi. Ballano un lento, anzi un lentissimo, tale da farli addormentare. Inforcano gli occhiali per caricare un piccolo carillon, preso dal baule, che li riporta ringiovaniti al giorno della loro promessa di matrimonio. A ritroso la giovinezza appare sfavillante, piena di festeggiamenti con canzoni e coriandoli, ma ad un certo punto si deve tornare alla realtà e rimettere nel baule tutti i presenti. Alla vecchia ormai sola non resta che sedersi ricurva su essi, mentre scende il buio totale sul firmamento dei ricordi.
La trilogia si costruisce sull’alternanza di un passato molto amato, ricordato tramite occhiali e carillons, per non guardare un presente di solitudine in povertà, vecchiaia e malattia. Questi prototipi, incapaci di vedere la realtà, restano imprigionati nei loro corpi alienati: è solo l’anima che vaga alla ricerca di un ideale.
I loro punti di vista universali vengono condivisi anche grazie alla grande capacità degli attori di utilizzare un linguaggio gestuale denso, viscerale ed autentico. In questo modo, la regista e drammaturga palermitana dimostra di saper cogliere le tante possibili sfaccettature individuali, portando in scena esistenze al margine in una quotidianità fatta di sentimenti, umori e persino salive dei corpi. La grammatica dei corpi degli attori costruisce le scene, rendendo superfluo esprimere un linguaggio verbale noto allo spettatore.
In ogni corpo c’è la possibilità di ricordarsi. Basta lasciarsi andare, almeno a teatro.
La TRILOGIA DEGLI OCCHIALI
Testo e regia Emma Dante
Scene Emma Dante, Carmine Maringola
Disegno luci Cristina Fresia
Acquasanta, capitolo I
con Carmine Maringola
Il castello della Zisa, capitolo II
con Claudia Benassi, Stéphanie Taillandier, Onofrio Zummo
Ballarini, capitolo III
con Elena Borgogni, Sabino Civilleri
Dal 13 al 23 dicembre 2011, h 21.00 – Teatro Palladium, Roma