Stefano Odoardi, Mancanza – Inferno, Ita/Ola 2014, 73’
selezionato al 43° International Film Festival di Rotterdarm
@ Cinema Aquila fino al 12/11/2014
Un angelo, ispirato alle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke, vaga tra le rovine de L’Aquila distrutta dal terremoto, tra rovine di edifici e soprattutto rovine di persone, raccontando un inferno, dove non è stato necessario essere viziosi o traditori per finirci dentro.
Fare una recensione di questo lungometraggio è un’esperienza particolare, semplicemente perché le poesie non si possono raccontare, bisogna leggerle, bisogna viverle.
Le immagini di una città morta, come i suoi abitanti, distrutta, ferita, piena di cicatrici: non esiste chirurgia plastica per le anime rotte. Cocci, pezzi di vite, e non v’è colla che possa almeno dare l’illusione della ricostruzione di una forma familiare alla memoria. Anche i ricordi sono persi.
Fotogrammi di un disastro, del disastro che ognuno si vive dentro, del disagio, del voler essere sempre da qualche altra parte quando si è altrove.
E’ bruttissimo non possedere più nulla, come la consapevolezza delle persone che siamo, e l’essere umano non vive senza consapevolezze.
I fermi immagine fotografici, inquietanti, come il tutto, imprigionano davanti allo schermo. Ci si guarda dentro osservando gli altri, ascoltando i loro racconti del poco prima e del subito dopo il grande terremoto.
E poi c’è la paura, la paura di non riuscire più a far niente, neanche le cose più semplici come li lavarsi le mani.
La paura, la coscienza, imprigiona e ci spinge all’inferno, dove non siamo più niente, pur essendoci. E non è solo il dolore di non avere più niente, è il dolore di non essere più presenti, neanche per se stessi.
I cambiamenti repentini non danno modo di capire cosa si diventa, ci vuole tempo, bisogna metabolizzare. E poi si diventa l’illusione di se stessi, di ciò che si era, e l’illusione della proiezione di ciò che si sarà, offuscata, annebbiata.
Mancanza – Inferno scava nel profondo subconscio di ognuno. Fa camminare sulle sabbie mobili, incerti ad ogni passo. La realtà delle cose la si percepisce solo quando non si ha più niente. E’ una trappola. Si perdono i confini, si perde l’equilibrio, è un continuo vivere borderline.
E la musica, nelle poche apparizioni, sembra quelle nenie di paesi di montagna, usate per far addormentare i bambini, ma che in realtà creano incubi. Spesso negli essere umani ciò che si spera tranquillizzi crea soltanto agitazione. È il racconto di chi sopravvive, ma che forse avrebbe preferito morire, o forse di chi è morto ma ancora non se ne rende conto.
Dov’è la via d’uscita? Probabilmente nel pensiero del “non fosse mai accaduto”. Ma poi accade.
La libertà è nell’abbraccio, nel sentirsi parte di un’altra parte, nel lasciar assorbire a qualcun altro il silenzio interiore. Empatia.
Stefano Odoardi è un filmaker italiano. E’ un visionario, un poeta cinematografico.
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