Nel concerto alla Chiesa Evangelica Metodista, il passato della musica classica si fonde col futuro della musica tecnologica creando il presente che è Ólafur Arnalds.
Artista: Ólafur Arnalds
Genere: sperimentale, elettronica
Discografia: Eulogy for Evolution (2007); Variations of Static (2008); Found Songs (2009); …And They Have Escaped the Weight of Darkness (2010); Living Room Songs (2011); ForNowIAmWinter (2013)
Etichetta: Erased Tapes Records
Dove: Chiesa Metodista Evangelica, Via Firenze, 38 – Roma
Info: Ólafur Arnalds
Ascolta: Ljósið
Ad un tratto qualcuno urla Genio! Questo lo sfogo dell’emozione che si scatena all’interno della Chiesa Evangelica Metodista.
Ólafur Arnalds, musicalmente parlando, nasce come batterista anche se suona praticamente qualsiasi altro strumento; soprattutto il pianoforte è quello che più si addice al venticinquenne islandese.
Venticinque anni, sì, che però non contengono tutta la musica che ha dentro.
Si presenta al pubblico romano, e in tutto il suo tour, con un set d’archi, un trombone e con almeno tre Macintosh, produttori di quei suoni elettronici che Arnalds fonde perfettamente con tutto il resto.
Verrebbe voglia di definirlo neoclassico per il modo e la forma di comporre e suonare i suoi pezzi. Necessari diventano quindi violini e violoncello, che danno corpo, innalzando il suono figlio dei tasti del piano. La musica elettronica fa il resto, con i suoi bassi provenienti da altri mondi, con le sue frequenze sonore particolarissime. Così si crea un supporto enorme, eccezionale, che stravolge e coinvolge. Il passato della musica classica si fonde col futuro della musica tecnologica, creando il presente che è Ólafur Arnalds.
Prima di iniziare l’eclettico musicista fa eseguire un LA al pubblico e lo campiona, usandolo come sottofondo della sua melodia d’apertura.
Poi la musica cresce, gli archi dei violini, visti da dietro e in controluce, come in una danza di spade, sembra trafiggano il loro strumento. Chiudendo gli occhi si riesce ad arrivare dappertutto, per un attimo, credendo di poterli riaprire molto lontano.
La musica sembra essere proprio una fuga. Viaggia in alto, s’appoggia sopra l’aria come fosse neve, scendendo poi lenta a bagnare le spalle di chi l’ascolta. Ad un tratto è un temporale, con tuoni e fulmini, per via dei bassi elettronici e dei grandi led montati alle spalle dei musicisti. Eclettici anche loro, come dimostra uno dei violinisti in un assolo professionalmente astratto e stupendo.
“Probabilmente ora il mio elettrocardiogramma disegnerebbe un pianoforte, e dei violini, e un contrabbasso, e un trombone, e un computer, MAC per l’esattezza. Il cuore gonfio, gigante, da poter bucare per farlo esplodere in un boato.” Appunto in un impeto di emozione durante il concerto.
Resta da solo Ólafur nel bis, con la potenza della sua musica. Poi la porta dei camerini si apre, le melodie della sezione archi rientrano in sala dolcemente, finché la porta si richiude lentamente, il pianoforte diventa silenzioso e le luci anche. È la fine.
Tanti applausi da desiderare altre mani.