Regia: Terrence Malick
Soggetto e Sceneggiatura: Terrence Malick
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Richard Chew, Hak Corwin
Effetti speciali: Intelligent Creatures Inc.
Costumi: Jacqueline West
Musiche: James Horner
Cast: Colin Farrell, Q’Orianka Kilcher, Christian Bale, Christopher Plummer, Ben Chaplin, David Thewlis, August Schellenberg, Wes Studi, John Savage, Eddie Marsan, Noah Taylor, Jonathan Pryce
Produzione: Sarah Green, Terrence Malick (New Line Cinema, Usa – 2005)
Durata: 150 min.
Nella storia del cinema, esistono registi che rimangono impressi soprattutto per il loro modo di fare e d’interpretare la Settima Arte. Tra questi nomi, non possiamo non includere Terrence Malick.
The New World (2005) è la quarta realizzazione di questo poeta delle immagini, uno di quelli che fa film come se non ci fosse un domani. Se pensiamo che la sua prima opera risale al 1974, si capisce che tale regista dà sempre moltissimo al suo lavoro.
Ispirata alla storia di Pocahontas, la narrazione si concentra sull’incontro e l’amore tra la principessa dei Pellerossa (Q’Orianka Kilcher) e il capitano John Smith (Colin Farrell). Il loro rapporto determina anche la convivenza tra gli indigeni e i colonizzatori, che diventerà sempre più conflittuale. La principessa, ripudiata dal proprio padre in quanto ha portato ai nemici cibo e semi di mais, viene venduta a questi ultimi e, stabilitasi nel loro fortino, viene occidentalizzata. Smith, però, accetta la missione, assegnatagli dal re, di cercare un passaggio per le Indie. La sua partenza comporta molta sofferenza per la principessa, innamorata di lui. Nel frattempo incontra John Rolfe (Christian Bale), il quale la corteggia e la sposa. Pienamente adottata dalla comunità inglese, viene ricevuta persino a corte dal re Giacomo I. L’ultimo incontro tra lei e Smith avviene nella dimora londinese del marito, otto anni dopo. L’epilogo fa emergere come la scelta del capitano di allontanare l’amore in cerca di gloria non l’abbia portato da nessuna parte, rendendolo ancor più solitario. Nel viaggio di ritorno per l’America, la principessa muore a causa di una malattia, a soli 22 anni.
Il film, splendido e suggestivo nel modo in cui solo il regista texano è capace di fare, ci dona molto più di ciò che a primo impatto potrebbe sembrare. La parabola di Pocahontas corre parallelamente a quella del mondo da cui proviene. La morte sopraggiunge perché soffocata in un sistema che non le appartiene. Lo si nota fin dal primo momento in cui le viene fatto indossare un abito occidentale, che la ingabbia. Se ne libera soltanto dopo il trapasso e da quel momento, attraverso una metafora nata grazie all’elegante montaggio, la vediamo correre e fare acrobazie nel giardino dell’abitazione londinese, come fosse Eva nel suo Eden, nella sua vera dimensione. Quello è il suo reale habitat, schiacciato, però, dalla fondazione della colonia da parte degli Occidentali. L’ultima inquadratura è dedicata a un albero, elemento metafora di ciò che è la protagonista.
Smith trova nella società indigena l’utopia che cercava, e in essa il suo vero amore. Di fronte, però, alle peripezie, egli decide di scappare. Un uomo che si ritrova a scontare questo errore, la cui pena è sprofondare in un baratro senza ritorno, quello della solitudine dovuta a un sentimento rifiutato. Se da una parte l’amore spinge la protagonista ad adattarsi a un mondo non suo, dall’altra parte il capitano ne fugge, sostituendolo con la volontà di soddisfare la propria sete di gloria. Tutto questo ci può insegnare che nella vita non bisogna negare ciò che ci viene donato, specie se qualcosa di profondo.
La qualità registica e fotografica ci fa percepire in maniera viva cosa voglia dire l’essenza delle immagini, attraverso i riflessi puri, le acque limpide e la vegetazione solare di un mondo vergine e paradisiaco. La simbiosi tra gli indigeni e la natura, in contrasto con la folle caccia all’oro degli occidentali, vuole insegnarci un modo diverso di guardare ciò che ci sta attorno. Non è certo il materialismo che ci può rendere felici. Il valore di questo cinema, dunque, sottolinea l’intensità e l’importanza di ciò che trasmette. Un patrimonio di rara bellezza, che si può comprendere soltanto ammirando questi quadri in successione, legati da una serie di musiche che accompagnano delicatamente tutto il lavoro. Forse non a caso le opere di Malick escono sempre a distanza di anni l’uno dall’altro: vivono di una forza particolare, tanto da sancire dei punti focali nella storia del cinema.
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