IL SUSSURRO DELLE OMBRE

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Ombre è incentrata su alcune opere dello scultore contemporaneo Giuliano Giuliani e del fotografo – sempre coevo – Giorgio Cutini. Cos’hanno in comune i due artisti, tanto da fare una mostra assieme?

Tanto per cominciare la mostra non pretende di darci una risposta concreta – se non in un cartellone introduttivo, che non riesce però a soddisfare completamente –, tuttavia l’accostamento funziona: come mai?

Anzitutto un filo conduttore, facile da cogliere, è quello della Città Eterna

Difatti, tra le caratteristiche più evidenti delle sculture, quella che balza all’occhio immediatamente, è il bianco smagliante della pietra usata da Giuliani: si tratta del travertino. Con più esattezza, si tratta solo di travertino: Giuliani, infatti, lavora unicamente questa pietra.

Pietra che – quasi per definizione – chiama alla mente Roma, perché l’Urbe se ne avvolge come un manto, turlupinando quei poveri visitatori che lo credono marmo.

Per le opere di Cutini, poi – quello di Roma – è addirittura sciocco chiamarlo “richiamo”, visto che le foto in mostra sono quelle di alcuni dei luoghi più famosi della Capitale.

Tuttavia, il tratto distintivo della mostra non è Roma – sebbene ne sia uno dei motivi caratterizzanti -. Per comprendere meglio occorre soffermarsi un istante sulle opere e sui loro autori, con maggiore attenzione.

Giuliani è uno scultore tale da spingermi a non azzardare ipotesi sull’appartenenza a correnti artistiche; tuttavia devo, per forza di cose, osare nel definire le opere esposte. Più che scolpire i pieni della materia, Giuliani pare gioire nel dar forma ai suoi vuoti – forse per questo scava il travertino, notoriamente “bucherellato”-: le sue sculture possiedono, nella loro fissità, la capacità di dare movimento all’aria che le attraversa, grazie alle loro insolite forme. Esse sono statue di carta fatte di pietra: così fragili ed inconsistenti che quasi non si possono ricondurre al concetto stesso di statua. Le sue opere sono fogli di travertino – pietra abbastanza pesante, da apparire lieve e volatile come la carta che si bruci – lavorati per scolpire l’indefinibile: Giuliani plasma l’aria attraverso la pietra.

Cutini, dal canto suo, ha come oggetto delle sue fotografie un quid decisamente metafisico: le sue sono foto di pensieri non chiari nemmeno alla mente. Probabilmente l’autore ha usato una pellicola sensibile in Bianco&Nero ed un tempo lungo di presa per ottenere quelle immagini, sfocate e sfumate. La foto è irrimediabilmente “rovinata”, l’immagine sfarfalla davanti ai nostri occhi e l’antica imponenza del Pantheon svanisce in un soffio di grigi. Il fotografo si compiace di questa sua irriverenza nei confronti della realtà e, nell’esporle una di fianco all’altra, sa benissimo che sta così obbligando la nostra mente a cercare nei propri recessi qualcosa che dia senso a quelle macchie, costringendo l’osservatore ad una frenetica caccia al tesoro mentale, prima che il tempo finisca ed i piedi l’abbiano già condotto allo scatto successivo.

Dunque in definitiva cos’è che accomuna Giuliani e Cutini?

Occorre dire che la risposta è un’interpretazione decisamente personale.

Ritengo che il modo migliore per concepire l’accostamento dei due artisti sia attraverso la loro poetica: una poetica dell’indefinito e dell’impalpabile. È quella linea di pensiero che, dopo tutto il relativismo ed il positivismo novecentesco – o forse proprio in loro virtù –, è consapevole di cogliere quello che gli occhi non vedono: se il neoclassico vede i perfetti rapporti della Nike di Samotracia, il romantico ne sente la Storia ed il borghesotto del novecento ne rimane insoddisfatto perché “è rotta!”, il poeta dell’Impalpabile ne adora le braccia e la testa.

Penso che a questa categoria di artisti appartengano Cutini e Giuliani: posseduti da un’arte semplice, ma assolutamente non semplicistica, soddisfatta ma non soddisfacente, decisa ma non sicura, complessa, ma non complicata. Un’arte che sia capace di colorare col Bianco, scolpire i Vuoti, fotografare il Nulla, suonare le Pause, scrivere Pagine Bianche e recitare l’Immobilità ed il Silenzio.

L’Arte del vago, della reminiscenza e della sfuggevolezza.

In definitiva, Ombre è una mostra sussurrata: per tutti, ma non da tutti. Chi se la sente di cogliere la sfida?

OMBRE

dal 6 giugno all’8 luglio, Museo di Roma in Trastevere,

foto Giorgio Cutini, Pantheon, Teatro di Marcello.

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Webmaster - Redattore Cinema

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