Martedì 9 ottobre, al Nuovo Cinema Aquila, è stato proiettato Padroni di casa, il secondo film di Edoardo Gabriellini. A seguire, l’incontro con uno degli interpreti: Valerio Mastrandrea.
Padroni di casa, Italia 2012, Durata 90′, Regia: Edoardo Gabbriellini, Sceneggiatura: Edoardo Gabbriellini, Valerio Mastrandrea, Soggetto: Edoardo Gabbriellini, Pierpaolo Piciarelli, Fotografia: Daria D’Antonio, Montaggio: Walter Fasano, Musiche originali: Cesare Cremonini, Stefano Pilia, Gabriele Roberto, Scenografie: Francesca Di Mottola, Produttori: Valentina Avenia, Luca Guadagnino, Marco Morabito, Massimiliano Violante, Casa di produzione: First Sun, Relief, Rai Cinema, Distribuzione: Good Films, Interpreti: Valerio Mastrandrea (Cosimo), Elio Germano (Elia), Gianni Morandi (Fausto Mieli), Valeria Bruni Tedeschi (Moira Mieli), Francesca Rabbi (Adriana).«Se ci capita di vedere un noir francese, tutto ci appare credibile e verosimile. Se vediamo un noir italiano, tutto diventa improvvisamente imbarazzante e ridicolo. Come se avessimo il permesso di vedere e fare solo certe cose». Come dare torto alle affermazioni di Valerio Mastrandrea? Il cinema italiano sembra cristallizzato all’interno di determinati generi e standard qualitativi; tuttavia, abbandonando l’ardua questione che richiederebbe ben altri spazi, soffermiamoci su una magnifica eccezione: Padroni di casa.
Il nuovo film di Edoardo Gabbriellini sembra inizialmente una commedia in stile Verdone: i due fratelli romani Cosimo ed Elia, interpretati rispettivamente da Germano e Mastrandrea, sono specializzati in bioedilizia. Diretti alla volta di un paesino sperduto sull’Appennino tosco-emiliano, hanno il compito di rinnovare la terrazza del celeberrimo cantante Fausto Mieli – Gianni Morandi – ritiratosi da tempo dalle scene per assistere la moglie semiparalizzata da un ictus. Eppure anche questo semplice incipit, indubbiamente goliardico e divertente, è costellato da indizi di genere: cacciatori, spari, sguardi biechi e sospettosi contro i forestieri di turno. Tanto basta a istillare un senso di minaccia, al quale non sappiamo ancora se credere o meno.
Gradualmente però, tutto si rivela violento: il passato di Cosimo rischia di ripresentarsi in una rinnovata e pericolosa fragilità; il flirt che Elia ha con la bella del paese risveglia temibili gelosie; il mito canoro, oggetto di invidia e livore da parte degli abitanti del borgo, si dimostra tutt’altro che l’eterno bravo ragazzo incarnato dal Morandi amico di tutti di antica memoria. Ma è soprattutto il branco di cacciatori del paese a far precipitare gli eventi: ostilità, vendetta e dimostrazioni di virilità sono i loro imperativi.
Gabbriellini dimostra ottime capacità narrative: riesce non solo a gestire magistralmente «i repentini cambi di registro», ma evita ogni forma di non verosimiglianza, «cercando un linguaggio contemporaneo e conservando le innumerevoli sfumature della complessità del reale», come afferma il regista. «Il campo d’osservazione è soffocato da una amoralità che genera la diffidenza e manovra la paura alla quale ci stiamo educando e nella quale ci stiamo chiudendo». La pellicola, con i suoi toni leggeri e i nerissimi contrasti, è stata accolta con grande approvazione al Festival di Locarno, rappresentando un’anomalia italiana in grado di competere con il cinema internazionale.