PAN AMERICAN LIVE
Line up:
Mark Nelson – frontman, chitarra, synth
Steven Hess – batteria, synth
Quando: 22 marzo 2012
Dove: Chiesa Evangelica Metodista, Roma
Info:
Ascolta There is always the thrill of just begining
Lanificio 159 e Snob Production uniti per la rassegna “Chorde – Suoni tra cielo e terra”: una chiesa, quattro appuntamenti, quatto mesi, quattro sacre genialità. Dopo Fink, Hawk and a Hacksaw e Ben Frost il miracolo successivo avviene con Pan American (Mark Nelson), batteria, chitarra, sintetizzatori e la sensibilità di un bambino. Un’ora e mezza di pausa, di innalzamento, di fuga e arrivo in una dimensione altra, liquida e offuscata.
Prodotto dei Labradford (1992 – 1997), statunitensi, Pan American risiede sul palco come una morbida statua, fermo e concentrato nei tratti fisionomici da tedesco, ma immensamente leggero nel suo raccoglimento, attento a ogni particolare. Tre anni dall’ultima produzione White Bird Relase, Mark lavora attualmente alla sua prossima uscita, la cui pubblicazione è in via di definizione.
Maestro dello sperimentalismo, raccoglie sotto l’inesauribile etichetta dell’ambient influenze disparate, plasmando la sua superficie sonora secondo il post rock, virando per ombreggiature dark unite ad atmosfere da soundtracks e condendo il tutto con un minimalismo molto contemporaneo, producendo un figlio proprio, che cammina, sorride e tende la manina dritta verso il cuore di chi guarda.
Durante terzo live italiano dell’artista nel primo mese di primavera, il corpo è rimasto fermo ma la mente è diventata pura, mentre aleggiava sul soffitto della chiesa. Pan American, che si concentra in un ambiente lontano dalla middleclass come dall’èlite, si muove nell’alternanza tra lunghi droni atmosferici e acutissimi sibili metropolitani rimanendo sempre quieto, però, mai techno, mai spinto. Puro scioglimento intervallato da una strumentazione tradizionale usata ben altrimenti, distorsioni elettroniche per la chitarra, solletico e archetto per i piatti di batteria, qualche incursione dub delle origini, a salti, e pacchi di aria modulata a far vibrare il petto e le vetrate colorate della casa ordinata dell’altissimo.
L’ambient, acustico qui e là, nelle sue mani non appare più come una sola macchia di colore, fluida e sgorgante, ma di colori ne alterna molti, si fa duro e poi morbido, cascata e poi rumore. Una culla elegante, quella di Pan American, in cui l’anima trova pace per qualche pacco di minuti e che quando finisce, lascia una mancanza.
Se ti piace la musica sperimentale, leggi la recensione dell’ultimo album degli PSEUDOSURFERS qui
Nessun commento
Pingback: Tim Hecker: lo spirito guida | Pensieri di cartapesta