Dal 21 al 23 febbraio 2013 al Forte Fanfulla di Roma è in scena Traumdeutung. Quartetto per una voce femminile e due voci maschili, ottima trasposizione ad opera dei Melisma, dell’omonima opera di Edoardo Sanguineti.
Traumdeutung. Quartetto per una voce femminile e tre voci maschili
Di: Edoardo Sanguineti
Interpreti: Emilio Barone, Loredana Mauro, Francesco Petti, Carlo Roselli
Luci e fonica: Franco Pescetti
Musiche: Salvatore Sciarrino, Giovanni Battista Pergolesi
Regia: Compagnia Melisma
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Sin dal primissimo esordio, Traumdeutung conduce il pubblico in una dimensione onirica, che inizia a prendere forma in una figura che si avvicina nell’oscurità, resa visibile esclusivamente da una luce puntato sul volto. Proprio come nel miglior lavoro onirico, la figura in questione ci accompagna lungo l’anticamera del teatro, ci rende suoi complici, sussurra cose che ancora non possiamo comprendere. Gradualmente, la figura-guida inizierà a sdoppiarsi, e in men che non si dica, gli interlocutori saranno diventati quattro. Ma non c’è da stupirsi. Stiamo sognando, no?
Gli attori nel frattempo si comportano in maniera sempre più amichevole e confidenziale. Le loro parole ci incalzano: piccoli frammenti di storie che si svolgono parallelamente iniziano a dispiegarsi nella nostra mente, si sovrappongono, impedendoci di tenerne le fila. Molti elementi sfuggono, sfiorano appena la memoria e si dileguano. Improvvisamente, giunge il silenzio. Gli attori prendono posizione; una donna dorme, preda di spasmi notturni e allucinazioni oniriche esilaranti che si alternano e dilatano, prendono vita intorno alla protagonista, più esattamente sotto al suo letto. Tutto è così irreale e ipnotico che quando la donna – Loredana Mauro – scatta improvvisamente nel risvegliarsi, anche il pubblico sussulta.
Lo scenario muta nuovamente – perché stupirsi? non capita forse spesso di sognare quattro o cinque episodi differenti in un’unica notte? – e lo spettatore si ritrova di fronte a quattro concertisti. I loro strumenti sono nient’altro che le loro voci, ma i suoni prodotti sono discontinui, interferiscono a intermittenza gli uni con gli altri sovrapponendosi, gonfiandosi e fondendosi fino a sopprimersi, talvolta, in sospiri e pause. Lo spettatore diventa unico confidente di un materiale che non può gestire, perché troppo denso ed espanso. E’ in continua crescita, entra nel respiro di una simile melodia dissonante e sembra sul punto di esplodere, scoprendosi fragile. Brevemente, la surrealtà dell’azione scenica in cui siamo immersi diviene assuefazione, e quindi indispensabile. Lo spettatore vorrebbe capirne il senso, per questo spera di riuscire a ricordare più elementi possibili, vorrebbe ragionarci da sveglio. Peccato che questo non sia possibile. I quattro sogni, narrati in maniera discontinua e frazionaria, come tutti i sogni degni di questo nome, restano evanescenti. A stento riusciamo a riassemblare i pezzi, e con fatica ricostruiamo il nostro sogno mentre il nostro io, piano piano, torna in sordina al suo posto; il mondo che fino a quel momento era rimasto fermo ricomincia a girare. Ecco: si accendono le luci, i nostri stessi applausi ci destano. Il dubbio, inutile negarlo, c’è: sarà stato tutto un sogno? Probabilmente no, ma chi può dirlo. L’intento dei Melisma è sicuramente riuscito.