Titolo: Paranoia Agent
Regia: Satoshi Kon
2004, Giappone
L’animazione giapponese ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella rappresentazione della società contemporanea. Basti pensare a film come “Akira” di Katsuhiro Ōtomo del 1988, “Una tomba per le lucciole” di Isao Takahata dello stesso anno, “Ghost in the shell” di Mamoru Oshii del 1995, “La città incantata” di Hayao Miyazaki del 2001, “Perfect blue” di Satoshi Kon del 1997 e tanti altri.
I film di animazione in Giappone, a differenza di quelli occidentali e ad esclusione di alcuni generi specifici come gli shōnen o gli shojo, che sono rispettivamente per un pubblico maschile e femminile tra gli undici e i diciotto anni, non sono quasi mai rivolti ad un pubblico di bambini. Infatti, la produzione anime ha dato vita ad una importante distribuzione di opere che riflette sull’era ipertecnologica in cui l’uomo si ritrova catapultato, mettendo in luce le difficoltà e le paranoie tipiche del ventunesimo secolo.
Paranoia Agent è una serie anime creata e diretta da Satoshi Kon, trasmessa sul canale giapponese WOWOW nel 2004. La scelta di creare una serie tv e non un lungometraggio, come per i suoi film precedenti, si è resa necessaria – secondo quanto rivelato del regista – per avere un minutaggio tale da contenere tutte le sue idee. La scelta di trasmetterlo in televisione, invece, è stata fatta per parlare “vis-à-vis” con il pubblico, far arrivare il suo messaggio a più persone possibili, rompendo la quarta parete attraverso il personaggio del vecchio saggio misterioso che parla con noi in prima persona, come se fosse lo stesso Satoshi Kon a parlarci tramite la televisione. Il pubblico a cui si rivolge, è certamente un pubblico adulto. Il vecchio saggio misterioso è vestito da maggiordomo, come fosse una persona al servizio dell’umanità, il cui scopo è far prendere coscienza agli individui grazie alla sua esperienza e saggezza. Il vecchio saggio misterioso analizza la società attraverso un calcolo matematico, Satoshi Kon attraverso i suoi film.
I prodotti di intrattenimento, in Paranoia Agent, sono visti sotto un’accezione negativa, ma allo stesso tempo positiva, come due facce della stessa medaglia: allontanano dalla realtà, fanno vivere gli individui in un mondo parallelo e fittizio, ma contemporaneamente possono contribuire alla presa di coscienza. In questo senso, la scelta del regista di trasmettere in televisione la serie – così come quando, nel mondo bidimensionale, Mitsuhiro Maniwa, nei panni del supereroe, rivela la verità su Maromi e Shōnen Bat in televisione – è un modo attraverso il quale mostrare la realtà agli spettatori, nella speranza che venga colta. L’attenzione ai prodotti di intrattenimento è resa esplicita anche dal trasmettitore di telecomunicazioni che appare nella sigla iniziale, nonché dalla presenza di molte inquadrature sulle televisioni che trasmettono programmi, spesso istruttivi e con un’impronta didattica. Come, per esempio, la giornalista che vediamo in televisione nella prima puntata, la quale ci trasmette un messaggio rilevante per comprendere il significato dell’intera serie: “gli effetti più negativi del disagio di vivere nel nostro tempo, si ripercuotono sulla parte più debole della società: i bambini. Ed ecco i risultati…bisogna spiegare ai bambini qual è la linea di confine. La differenza tra reale e virtuale”.
Dunque, Satoshi Kon, nel 2004 dona al pubblico una serie anime di tredici episodi che descrive in maniera lucida e disincantata la società contemporanea dei primi anni 2000 e che, in maniera visionaria, descrive anche la realtà che viviamo oggi. Questo perché il mondo in cui si muovono i personaggi è descritto in maniera circolare e lo si intuisce soffermando lo sguardo sulla sigla iniziale e su quella finale che sono strettamente collegate tra loro. La sigla finale, in particolare, mostra i personaggi distesi e addormentati in cerchio, indicando così che la storia dell’umanità, e anche la natura umana, sono caratterizzate da un “eterno ritorno”, da eventi e atteggiamenti che si ripetono ciclicamente. La natura ciclica è un elemento fondamentale per l’intera serie perché si riferisce anche al circolo vizioso che inevitabilmente si innesca quando si costruisce una intera realtà basata sulla finzione che travolge prima o poi tutti gli individui, come un’onda travolgente che non lascia scampo a nessuno, come nell’episodio conclusivo.
Ma, nella sigla finale, il cerchio di personaggi non è chiuso. Uno dei protagonisti è disteso in modo diverso e non si appoggia alla persona accanto a lui. Questo indica che il regista nutre, in fondo, una speranza nel cambiamento, in un’evoluzione. Inoltre, il termine “hope” è anche evidenziato sul pacchetto di sigarette nell’ultimo episodio.
Dal 2004 ad oggi, possiamo dargli ragione? Possiamo dire che Kon, lasciando il cerchio aperto, ha avuto la giusta intuizione sul futuro che gli si prospettava davanti? L’idea che Kon pone delle domande alle generazioni future su un possibile cambiamento è ben chiara quando, alla fine dell’ultimo episodio, nel “sogno rivelatore” si congeda così: “Innanzitutto, la storia che sembra finalmente terminata, gira, rigira e ricomincia da capo. A ricomporre tutti i frammenti, prende forma la giostra senza fine dell’eterno ritorno. Non v’è mistero di cui non vi sia soluzione non v’è soluzione in cui non vi sia mistero. E allora, signore e signori, diciamo “arrivederci”.
Ma cosa deve cambiare nella società del ventunesimo secolo, secondo Kon? Qual è la critica che muove alla società contemporanea? Sicuramente Kon ripone nelle generazioni future, nella “parte più debole della società”, nei bambini, la speranza di un mondo più responsabile, più attento alle persone e non ai loro bisogni squisitamente economici.
Partiamo con il dire che tutta la serie è un continuo rimando alla contrapposizione tra realtà e finzione e all’esistenza di mondi paralleli in cui spesso i personaggi si ritrovano. Di un “prima” e un di un “dopo”. Nella sigla iniziale i personaggi sono spesso rappresentati sdoppiati. Questi espedienti narrativi e visivi ricordano i film di David Lynch, in particolare, la serie I segreti di Twin Peaks del 1990. Il primo accostamento più evidente è quello fra il vecchio saggio misterioso e la Signora Ceppo con i loro messaggi premonitori. Poi, i due investigatori che, nelle prime puntate, come in un film giallo/poliziesco, cercano il colpevole delle aggressioni Shōnen Bat, possono essere accostati alla vicenda investigativa presente nella serie lynchiana che vede protagonista il detective Dale Cooper e che coinvolge tutta la collettività locale. Anche in Paranoia Agent, così come in Twin Peaks, i personaggi, che inizialmente sembrano avere un proprio ruolo nella società e si muovono in un mondo particolarmente familiare, caloroso e apparentemente perfetto, vengono messi in discussione e perdono progressivamente ogni certezza dopo un avvenimento significativo per l’intera collettività che segna un momento che fa sprofondare tutti in una crisi di identità sia a livello individuale che collettivo.
Nel mondo di Paranoia Agent, la realtà sconfigge (o crea?) mostri e i protagonisti sono vittime (o carnefici?) della realtà che vivono.
Le realtà cui si fa riferimento sono presentate nella sigla iniziale e sono tutte ricollegabili all’atteggiamento e i comportamenti dell’uomo nei confronti della propria terra e dei propri simili. Paranoia Agent è una serie che parla di come gli individui vivono nel mondo contemporaneo, in particolare quello giapponese, in cui la tecnologia ha un ruolo predominante. È una serie che parla delle paranoie tipiche della contemporaneità e mette lo spettatore di fronte a sé stesso, costringendolo a riconsiderare le proprie azioni.
La sigla iniziale è una carrellata di scenari post apocalittici, non così dissimili dalla realtà, reduci da guerre, come la Seconda Guerra Mondiale, rappresentata dal fungo atomico dovuto all’esplosione della bomba atomica su Hiroshima e poi su Nagasaki nel 1945. Il fungo atomico è anche citato nella canzone della sigla iniziale “Dream Island Obsessional Park” nel punto in cui dice “…marvelous mushroom shaped cloud in the sky”. Nella sigla iniziale, i riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale, all’America tramite le torri gemelle e alla rappresentazione del nostro pianeta sotto attacco visto dalla luna, sono degli indizi che ci portano all’idea di potere. Il potere che ha condotto (e conduce) alle guerre e alla distruzione di intere popolazioni e città, ma anche il potere di condizionamento che la società ha nei confronti degli individui.
Gli scenari post apocalittici e le città distrutte nella sigla sono causati anche dagli tsunami e dalle alluvioni molto frequenti in Giappone. Vi è, infatti, un chiaro riferimento al cambiamento climatico e le sue cause: discariche più estese delle città, Masami Hirukawa a maniche corte sulla cima di una montagna innevata ad indicare il surriscaldamento globale e, in generale l’ecosistema, sono posti all’attenzione degli spettatori. Il collegamento tra il vecchio saggio misterioso e la signora Ceppo di Twin Peaks qui è rilevante perché la signora Ceppo è una ambientalista convinta.
Già presente in maniera più esplicita in Tokyo Godfathers del 2003, è il tema della povertà, dell’emarginazione e della drammatica situazione dei clochard. In Paranoia Agent, rappresentativo di questo problema sociale è l’anziana signora senzatetto, che durante gli episodi spesso la vediamo frugare nella spazzatura e nella sigla iniziale viene presentata in piedi su un tavolo di un ristorante di lusso. Attraverso questa contrapposizione tra la ricchezza e la povertà assoluta, Kon ci dà l’idea della situazione dei senzatetto in Giappone (e in generale nel mondo), spesso emarginati ai confini della società. In particolare, nella società giapponese, tutti coloro che non possono contribuire, a livello lavorativo, al progresso della società (e al progresso tecnologico) sono considerati dei parassiti. È l’esempio anche di Fuyubachi che, arrivato ad una certa età, cerca grottescamente e drammaticamente la morte in compagnia di altri due personaggi conosciuti su una chat “dei suicidi” online. Lo spiacevole legame che intercorre tra queste tre persone è anch’esso emblema di un disagio sociale dilagante, in particolare in Giappone: l’elevato tasso di suicidi che rappresenta uno dei maggiori problemi del ventunesimo secolo.
Ogni personaggio è dunque inserito all’interno di questi scenari e ci viene presentato in un determinato contesto. L’unico scenario della sigla iniziale che trasmette un senso di pace è quello in cui è inserito Shōnen Bat: cielo azzurro, prato verde e atmosfera serena. Rappresenta il mondo fittizio che tutta la società, nessuno escluso, costruisce intorno a sé (e dentro di sé), in cui si rifugia per non affrontare la realtà, come per i personaggi della serie. Lo stesso scenario è ripresentato nella sigla finale con una Maromi gigante al centro e i protagonisti che dormono in cerchio. Questo indica come gli unici momenti di pace sono quelli in cui l’umanità “dorme”, non si rende conto di quello che succede intorno a sé o lo ignora. Dormono come sotto l’effetto di un sonnifero e la canzone finale accompagna dolcemente il loro sonno, come un ninna nanna, mentre Maromi sembra sorvegliare i loro sogni.
Inoltre, nella sigla iniziale rilevante è l’accostamento delle torri gemelle alla figura di Harumi Chono rappresentata in entrambe le sue identità con alle sue spalle il simbolo dell’America. Harumi Chono è una giovane donna che soffre di disturbo di doppia personalità. Di giorno è una giovane insegnante e ricercatrice universitaria e di notte una escort. La contrapposizione tra le due personalità è sottolineata dai vestiti, dai diversi cosmetici che utilizza per le due occasioni, dal modo di parlare, dai colori utilizzati dal regista per le due ambientazioni, piuttosto chiari di giorno e scuri di notte e dal titolo stesso dell’episodio “double lips”. Il disturbo di personalità era stato già analizzato in Perfect blue nel 1997. Ma dobbiamo considerare che calato nel contesto di Paranoia Agent del 2004 acquisisce delle caratteristiche diverse e risulta essere metafora del mondo prima e dopo l’11 Settembre. Prima dell’11 Settembre un’America serena e apparentemente tranquilla come la personalità da insegnante di Harumi ma che, guardandosi allo specchio, si chiede “chi sono io? Non sono nessuno”, quindi un’America senza una forte personalità, che vive in una bolla, con le proprie apparenti certezze e sicurezze. Dopo l’11 Settembre un’America violenta, instabile, senza alcuna certezza come la personalità notturna della nostra protagonista. Un cambio di personalità repentino e drammatico proprio come è stato l’evento che ha segnato una linea netta tra un prima e dopo nella storia dell’umanità.
Il fil rouge che collega tutti gli episodi dell’opera visionaria di Kon, è l’idea che la società del ventunesimo secolo corre, come corre la tecnologia, che va veloce e raramente si ferma a guardare ciò che succede intorno sé. Una società che, spesso si nasconde dietro degli schermi, dietro delle menzogne che portano inevitabilmente alla creazione di mostri. Infatti, Shōnen Bat altro non è che l’ombra di una paura primordiale di una bambina: il giudizio dei genitori e la conseguente necessità di trincerarsi dietro una bugia in un momento di difficoltà.
Shōnen Bat diventa presto l’ombra di una menzogna più grande che coinvolge la società contemporanea intera e di cui, ad un certo punto, non si ha più il controllo. Shōnen Bat è la paura di non guardare ciò che si è realmente. Maromi, invece, rappresenta l’altra faccia della paura: la fuga dalla realtà.
Kon ci suggerisce che la soluzione del problema non è l’eliminazione del problema. La fuga dalla realtà come soluzione dei problemi dell’umanità non è la soluzione. Questo, Misae (l’unica, insieme ai tre della puntata “una pianificazione familiare luminosa”, ad essere risparmiata dal temibile Shōnen Bat), che è pienamente cosciente della propria realtà, lo sa bene e lo fa presente, nell’ultimo episodio, a suo marito Ikari: “Non fuggiremo dalla realtà, non bisogna farsi incantare dall’illusione di una facile salvezza per quanto la vita possa essere dura”. Una realtà familiare troppo dura da affrontare per Ikari, il quale si rifugia in un bidimensionale mondo perfetto e inquietante, che ricorda molto il mondo dalle tende rosse e dal pavimento a zig-zag bianco e nero.
Concentrandoci sui personaggi chiave, possiamo dire che tutta la serie può essere letta da due punti di vista. In entrambi i casi i personaggi di Maromi e Shōnen Bat, come due facce della stessa medaglia, come unica entità, sono metafore di altro.
Maromi fa allontanare le persone dalla realtà contribuendo a creare uno stato di tranquillità, di fiducia, illudendo, tuttavia, gli individui che a tutto c’è una soluzione e di lasciar correre i problemi, senza dare loro gli strumenti per affrontarli. Anche Shōnen Bat ha la stessa funzione e lo si può vedere dalla sigla iniziale: uno scenario di pace. Ma allo stesso tempo questa tranquillità e pace fittizia è essa stessa distruzione. Non porta le persone a vedere i risvolti oscuri di una società come la nostra. E più non si guarda a questi problemi, più i mostri crescono e inghiottiscono tutto quello che gli si presenta davanti come fa il personaggio “senza – volto” nel film La città incantata di Miyazaki, lasciando uno scenario post apocalittico come nell’ultima puntata.
Un’altra chiave di lettura – seppur coerente con la precedente – ci viene suggerita dalla rappresentazione delle torri gemelle nella sigla iniziale. Tutta la serie in questo senso è metafora del mondo prima e dopo l’attacco al World Trade Center nel 2001.
Un’America apparentemente perfetta, una potenza mondiale che sconfigge le Potenze dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale con lo sgancio delle bombe atomiche. Uno stato che si culla su una fittizia stabilità e superiorità nei confronti del mondo. La società, così come rappresentata in Paranoia Agent, che non guarda ai problemi e che fugge dalla realtà, è metafora di questa idea di America, troppo distratta dall’idea dell’invincibilità e dal potere da non considerare la propria posizione.
Poi l’11 settembre. Un evento insospettabile. La sensazione di trovarsi in un film di fantascienza, non nella realtà. Questo evento ha segnato un cambiamento radicale nella storia del mondo. Da quel momento in poi in nessun posto ci si è sentiti più al sicuro. Ci siamo ritrovati catapultati nell’era del panico, della paranoia. La definizione del termine paranoia, dopotutto, è “psicosi caratterizzata dallo sviluppo di un delirio cronico lucido”. Il delirio è lucido. Le paure sono giustificate da una presa di coscienza della realtà.
In questo senso, Maromi rappresenta il mondo prima del tragico evento. Un mondo sospeso, quasi temporaneo; Shōnen Bat è ciò che viene dopo. È la presa di coscienza, la razionalità, il mondo vero.
Il tema delle telecomunicazioni, tanto ricorrente nel corso degli episodi, assume a questo punto un connotato particolare, sempre in un’ottica ambivalente. I mezzi di comunicazione e i prodotti di intrattenimento – tra cui i prodotti di animazione giapponesi – hanno aiutato i popoli a dimenticare gli orrori della guerra, a non pensare. Nel corso della storia, hanno avuto anche la funzione di diffondere dei messaggi con la finalità di creare un pensiero unico, condiviso. Ma, allo stesso tempo, sono degli strumenti strategici che, se utilizzati nel giusto modo e analizzati dalla corretta prospettiva, possono essere metafora di uno specchio che ci restituisce la nostra immagine riflessa.
Alla luce di ciò, possiamo ritenere che Satoshi Kon, ai tempi d’oggi, chiuderebbe definitivamente quel cerchio nella sigla finale?
Sicuramente, quello che sappiamo, è che nell’ultima puntata vediamo una città ricostruita, colorata, a pieno ritmo. Rivediamo la nostra società, che corre in tutti i sensi e che non è molto dissimile da come ci viene presentata nei primissimi minuti dell’episodio pilota.