Per pochi giorni sarà possibile visitare la mostra, inaugurata presso Palazzo Velli a Trastevere, di Pejman Tadayon (Esfahan, 1977) dal significativo titolo Pittura sonora. Il suo percorso artistico inizia da giovanissimo in Iran attraverso lo studio della musica tradizionale persiana, per poi proseguire in Italia, a partire dal 2003, presso l’Accademia di Belle Arti prima a Firenze, poi a Roma. Lo studio e la passione per la musica va dunque di pari passo con quello per l’arte, fusione questa che genera insolite e affascinanti commistioni. I dipinti su tavole lignee esposti a Palazzo Velli vedono infatti affiancati disegni figurativi, realizzati graffiando la superficie pittorica, a vere e proprie corde musicali che, con gradevole sorpresa dei visitatori, si possono far vibrare. Questo aspetto ludico rende la mostra un’esposizione, in un certo qual modo, partecipata sia fisicamente – attraverso il gesto individuale di pizzicare le corde – sia mentalmente, associando ai soggetti raffigurati una possibile musica che potrebbe fare da colonna sonora a quelle donne dai lunghi capelli che danzano dentro i dipinti o ai musici graffiati sulla superficie e ispirati a bassorilievi mesopotamici. La maggior parte delle tavole sono costruite come fossero vere e proprie superfici di strumenti musicali a corda con tanto di cassa di risonanza, di tastiera, di ponti per sostenere le corde e di chiavette per accordare lo “strumento-tavola”. Pejman Tadayon in questo modo fa sì che i confini tra le due arti non esistano più, divengano fluidi così come è fluida l’armonia musicale – e cromatica – qui potenzialmente espressa. Viene così a crearsi una fusione estetica tra le arti, rendendo l’esperienza artistica sensorialmente accattivante e coinvolgente. Oltre a questi lavori – caratterizzati da un segno graffiato e sottile – l’artista si dedica anche a soggetti pittorici animali quali i cavalli, in cui vi è una maggiore stratificazione del colore e dove non sono presenti corde musicali.
Tutte le sue opere – strutturate sui toni del verde acqua, del bianco e su colori terrosi – non hanno titolo, bensì solo un numero identificativo perché ogni significato che si potrebbe proiettare sull’opera è rimandato all’opera stessa, ai segni con cui sono tracciate le figure – propri di un linearismo primitivista – e alla musica che da essa si dipana. Ci si concentra così sulla superficie, sul colore, sui segni grafico-linguistici (scritti e leggibili su qualche dipinto), e sul suono armonico, tutti elementi che contribuiscono a creare un’opera d’arte significativa e significante nel suo stesso segno estetico e attraverso il gesto musicale.