Soggetto e Sceneggiatura Samuel Beckett
Regia Alan Schneider
Camera Operator Joe Coffey
Fotografia Boris Kaufman
Scenografia Burr Smidt
Montaggio Sidney Meyers
Cast Buster Keaton, Nell Harrison, James Karen, Susan Reed
Paese Usa
Anno 1965
Durata 17′
Un occhio ci guarda, lo guarda. Il particolare dell’occhio invade tutta l’immagine dandoci l’impressione di essere di fronte ad uno specchio. Un uomo, incappucciato, di cui non ne vediamo mai il volto, scappa terrorizzato all’interno di un sobborgo.
Nessun suono, nè alcuna musica. A tratti vediamo soltanto ciò che lui soggettivamente nota e osserva, sempre in presenza del sentimento della paura e dell’insicurezza.
Poi entra in una vecchia palazzina, l’uomo che continua a nascondersi, e un altro occhio, quello della cinepresa, sembra voler predominare su quello dell’uomo braccato e inseguito da una persona, probabilmente l’operatore stesso.
Quest’uomo, ripreso costantemente di spalle, dà l’impressione di sentirsi angosciato dalle disposizioni del fare cinema. Nella stanza c’è uno specchio e l’uomo non osa specchiarsi, potrebbe assistere alla presenza della camera che lo bracca e non gli lascia tregua, costringendolo a camminare ruotando addossato alle pareti nella circolarità della stanza dalle mura sgretolate. Perciò ricopre lo specchio con una coperta. Degli animali presenti nell’appartamento, tutti gatti, disturbano l’uomo che tenta in tutti i modi di farli uscire. E non vuole sentirsi spiato da nessuno, nemmeno dagli oggetti sparsi attorno a lui che danno l’impressione di farlo, badando bene a rimettere la coperta sullo specchio appena cade. Ma è qualcosa di molto più vicino a lui a scioccarlo. Più di quanto s’immagini.
Sono proprio le immagini, lunghi piani-sequenza, ad affascinare Samuel Beckett nel discorso di cinema ermetico (non legato alla parola come i suoi racconti e parte del suo teatro), che introduce con questo piccolo Film che vede la presenza di Buster Keaton, vecchio e nudo nella sua essenza, al centro e nel cuore dell’immagine.
Un corpo di uomo braccato dalle immagini e dalle ossessioni del cinema e della propria coscienza, affranta nel gioco del doppio del proprio essere che non vuole mettersi in gioco.
Cosa resta a costui, se non la fuga continua dalle proprie responsabilità?