Paese Polonia, Norvegia, Ungheria, Irlanda
Regia Jerzy Skolimowski
Sceneggiatura Jerzy Skolimowski & Ewa Piaskowska
Fotografia Adam Sikora
Scenografia Joanna Kaczynska
Costumi Anne Hamre
Trucco Barbara Conway
Montaggio Réka Lemhényi, Maciej Pawlisnky
Musiche Pawel Mykietyn
Cast Vincent Gallo, Emmanuelle Seigner
Produzione Jerzy Skolimowski & Ewa Piaskowska for Skopia Film, Cylinder Productions, Element Pictures, Mythberg Films, Canal+, Sirena Films
Anno 2010
Durata 83’
Mohammed, un combattente afgano, viene catturato nel corso di un raid dell’esercito americano. Nascosto all’interno di una grotta, egli tenta di difendersi come può. Nel tragitto fino al carcere, durante una sosta dei militari, egli riesce a fuggire con una certa scaltrezza, e poi con estrema capacità di spostamento e di autodifesa, lungo le vallate imbiancate e gelide della Polonia e della Norvegia, sopravvive alle intemperie della natura e alla implacabilità dell’uomo che gli dà la caccia spietato.
Mohammed fa cose poco nobili durante questa avventura nei silenzi suggestivi della natura, dove i mugugni, le parole smorzate, i semitoni, generano, grazie alla maestria del genio polacco Jerzy Skolimowski, un affilato metro stilistico che lascia un segno indelebile, ancor più della maschera talebana Vincent Gallo, straordinario nel ruolo di Mohammed (vinse la Coppa Volpi al Festival di Venezia del 2010, mentre il regista si portò a casa il Gran Premio della Giuria). Il suo essere ramingo e per questo centro del racconto e dell’esperienza quasi extra-sensoriale a cui Skolimowski vuole farci abituare tramite l’utilizzo di effetti sonori (che l’uomo afgano non sopporta mai) e di proiezioni della psiche angariata, rende il protagonista un prodotto generato da quegli stessi cacciatori americani che lo braccano senza sosta. Laggiù non c’è molto da rasserenarsi, soltanto il focolare domestico potrebbe avere il potere di regalare il tepore necessario alla sopravvivenza, nel bianco sporcato dal tragitto dell’uomo occidentale, sempre e comunque con il piede in guerra e col passo lacero sul sentiero sbagliato.
Metaforicamente parlando, Essential Killing è essenziale e teso, a sprazzi quasi sublime nella rappresentazione del vagabondaggio con sensi di colpa inconsci.
Skolimowski, autore di un arcano capolavoro quasi dimenticato come The Shout – L’australiano, gioca a rendere sporca la coscienza di quest’uomo in fuga (Mohammed potrebbe essere un terrorista o uno strumento di mediazione fra diversi gruppi, oppure ancora e semplicemente un uomo qualsiasi); non ce lo rende simpatico e si arriva a parteggiare, sempre con cautela, per il braccato, ponendoci una domanda d’obbligo: “Colpevole o non colpevole?. Nel dubbio, lasciar correre, verrebbe da dire. Solo che quando Mohammed ne ha l’occasione, per un motivo o per l’altro non riesce mai. Bisogna ridursi all’essenziale per capirlo veramente, a quel minimo di azioni contingenti verso cui dovrà abituarsi.
Come noi che ci siamo abituati al freddo di gennaio, soprattutto se trascorso davanti a tutte queste avventure filmiche, che ci hanno accompagnato nei meandri di zone dove la neve e il ghiaccio regnano ancora incontrastati.