Regia: Courtney Hunt
Sceneggiatura: Courtney Hunt
Fotografia: Reed Morano
Montaggio: Kate Williams
Musiche: Peter Golub, Shahzad Ismaily
Produzione: Cohen Media Group, Frozen River Pictures, Harwood Hunt Productions, Off Hollywood Pictures
Cast: Melissa Leo, Misty Upham, Michael O’Keefe, Mark Boone Junior, Charlie McDermott, James Reilly
Paese: Usa
Durata: 97’
Ghiaccio di confine. Ghiaccio di solitudine. Limitare muto e infido che si frappone tra un uomo e un altro uomo: chi lo attraversa viola la legge, ma, forse, avrà una nuova chance di vita, seppur clandestina; chi non lo fa, resta in un anonimo limbo di mondo. Questo è il Saint Lawrence, il frozen river – fiume ghiacciato – del titolo del film; scorre tra lo Stato di New York e il Quebec partendo dalla riserva indiana dei Mohawk: strada pericolosa e privilegiata per il contrabbando di esseri umani, non graditi alla frontiera americana.
Ray (Melissa Leo) e Laila (Misty Upham), rispettivamente una donna bianca e un’indiana mohawk s’incontrano: la prima, abbandonata e derubata dal marito, con due figli da mantenere e il sogno di una casa prefabbricata, nuova, in cui andare a vivere; la seconda, più giovane, vedova, con un figlio portatole via appena nato, sola e già nota alla polizia per il traffico di clandestini. Il crimine è rischioso, ma paga bene, e le due donne hanno troppo bisogno e troppo poco tempo per aspettare che la sorte dia loro quanto le spetta: perciò si ritrovano fianco a fianco a “traghettare anime” illegalmente dal Canada agli Usa.
Opera prima della regista Courtney Hunt, che ne è anche sceneggiatrice, il film uscito negli U.S.A. nel 2008, ha vinto il Gran Premio della Giuria al Sundance Film festival, ed ha ricevuto una doppia nomination agli Oscar (miglior attrice protagonista, Melissa Leo, e miglior sceneggiatura originale); si presenta come un prodotto abbastanza tradizionale di un cinema evidentemente indipendente, scorre sicuro, semplice, veloce, ma soprattutto coniuga abilmente due nature: quella del thriller da cui ne ricalca il ritmo mai calante, del dramma in senso stretto l’innesco e il disinnesco della vicenda umana. E lo fa con una “singolare nonchalance”; poche cose, tanti volti e specifiche situazioni di partenza, già tese al limite della sopportazione: si piomba nella storia subito e senza fatica, così come se ne esce, per forza; di conseguenza i protagonisti devono necessariamente fare qualcosa e scelgono in poco tempo, giusto o sbagliato non importa, purché si viva, si sopravviva, si fugga dalla paura, e si domi il freddo che opprime dentro e fuori. Tutti sognano, e tutti lottano per tenere in piedi un desiderio. Ray e Laila, in quanto madri, ancor di più. Sono due solitudini ai margini del mondo fisico e sociale, pelle diversa, stessa voglia di dignità, donne che s’intreccino visceralmente, è destino.
Esteticamente il film è minimale e spigoloso come il ghiaccio che lo pervade; pieno di neve che attutisce i rumori e pieno di silenzi che prevalgono sui dialoghi; il resto è colmato dalle espressioni della Leo, brava e calibrata, il cui viso sembra disegnato sui luoghi e sulla storia che racconta. Sospende, cattura ed anima fino all’ultimo: un dramma contenuto in cui ogni lacrima che scende, se scende, è asciugata a metà volto, perché il freddo lassù non permette e non accoglie.
Resta la fatica quotidiana, che il gelo mette a dura prova ed al contempo esemplifica: la lastra di ghiaccio del fiume cela l’acqua viva, così come la distanza fra le due protagoniste è colmata dalla comune necessità.
E quando le trasferte da Stato a Stato, in cerca ognuno, di un’ improbabile fetta di disperato paradiso, diventano notturne, e la posta si fa troppo alta, chi osserva riflette su quando, dove e come l’uomo prenda a sfruttare l’uomo, ad abdicare alla giustizia, a scambiare la felicità con una via di scampo, a provocare la sorte boicottando tutto il sistema che prima impone la lotta, poi non dà mai armi pari; prima fissa un limite, poi ne rende impossibile il rispetto.
Perciò Ray e Laila, madri in fuga verso un’urgente normalità, quel limite lo passano: aggirano chi le ha sempre (r)-aggirate, anche se verrà chiesto loro il conto. Come un fiume ghiacciato può sempre, all’improvviso, frantumarsi e trascinare giù, così la vita può, sempre o all’improvviso, scaraventarci ad un passo dalla frontiera e lasciare a noi la scelta, se e come varcarla.