Pellicole di Neve e Ghiaccio: LA GRANDE ESTASI…

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Regia Werner Herzog,

Sceneggiatura Werner Herzog,

Fotografia Jorg Schmidt-Reitwein, Francisco Joàn, Frederik Hettich, Alfred Chrosziel, Gideon Meron,

Montaggio Beate Mainka-Jellinghaus,

Produttore esecutivo Walter Saxer,

Musiche Popol Vuh,

Durata 47 min,

Anno 1974.

“Io dovrei essere solo al mondo, io, Steiner e nessun’altra forma di vita. Niente sole, niente cultura, io nudo sopra un’alta roccia, senza tempeste, senza neve, senza banche, senza soldi, senza tempo e senza respiro. Allora di sicuro non avrei più paura (Angst)”.

Le parole di Robert Walser appaiono durante l’ultima sequenza, al rallentatore, del film di Werner Herzog. Esse concludono, sotto la musica dei Popol Vuh, La Grande estasi dell’intagliatore Steiner e, nello stesso istante, lasciano qualcosa di inadempiuto. Le immagini del Volo con gli sci si trasformano, nel film, in una poesia audiovisiva che la parola non riesce mai a tradurre definitivamente in verbo, in linguaggio. Nemmeno la telecamera può seguire perfettamente Walter Steiner, il quale compare e scompare dall’inquadratura nella scena finale.

La ricerca della verità, o meglio dell’Assoluto, passa in Herzog, sempre attraverso personaggi borderline, folli nei loro tentativi di andare oltre l’umano. Ciò lo possiamo notare in molti protagonisti dei suoi film: Fitzcarraldo (Fitzcarraldo, 1982), Bokassa (Echi da un regno oscuro, 1990), Graham Dorrington (Il diamante bianco, 2004), Timothy Treadwell (Grizzly Man, 2006) e, infine, anche in Nosferatu (Nosferatu – il principe della notte, 1979). Le riprese de La grandi estasi si svolgono tutte nel 1973 e si concludono con il campionato del mondo di Volo con gli sci, disputato a Planica – ex Jugoslavia, attuale Slovenia – e in cui Steiner con un salto di 166 metri vince la coppa di specialità. L’approccio di Herzog è triplice: è testimone, regista e, nel film, sembra vestire i panni di un giornalista sportivo; è così calato nella parte e attento alle performances degli atleti che, in una scena, lo vediamo girarsi, spontaneamente, al momento di un salto. Le immagini vengono mostrate in diretta e al rallentatore; l’ambito schiettamente documentaristico – le riprese, la gara – è fuso insieme a quello finzionale – Herzog narratore dei fatti e il successivo montaggio delle immagini-.

Le imprese di Steiner, “il più grande saltatore che sia mai esistito” secondo Herzog, sono introdotte dalla sua attività ludica d’intagliatore. Vengono mostrate le sue sculture e le idee da cui esse hanno origine. Steiner commenta la sua attività d’intagliatore rappresentandola come una realizzazione interna al materiale stesso. Nella sua passione per il salto possiamo identificare, invece, un vero e proprio lavoro su se stesso. Herzog mette in scena il sogno di volare e l’esistenzialismo dell’uomo/atleta Steiner. Durante la gara di Planica, ci troviamo di fronte a un saltatore che passa dall’irrequietezza all’entusiasmo, transitando attraverso una piena e meditata riflessività.

Ogni volo è quello di un Icaro cosciente dei rischi a cui va incontro. E’ il volo contingente di un uccello consapevole che la sua trasmigrata sarà brevissima. Steiner unisce terra e aria; cerca, con il suo volo, di toccare il cielo, di oltrepassare ekstaticamente l’atmosfera e, negli istanti successivi, mette a repentaglio la sua vita nell’atterraggio sulla neve. Steiner sente la necessità di volare proprio di fronte alla contingenza e alla differenziatezza di ogni singolo volo; nel mostrare la propria consapevolezza egli è incredibilmente e irresistibilmente, attratto dal salto. Lo vediamo abitare sulla sottile linea del rischio nell’apertura alla possibilità della morte derivante dal suo ritorno a terra. Steiner vive nel senso fugace del volo e sopravvive nel paradosso di una morte che potrebbe essere causata non dal balzo annullante ed ekstatico del sé, ma dal suo rincasare nella normalità terrena attraverso l’espediente dell’atterraggio.

Il saltatore svizzero ha timore; per questo motivo decide a Planica di partire da una sbarra più in basso rispetto agli altri concorrenti… Steiner ha paura di volare troppo. Il rispetto per la situazione pericolosa e il sentimento di Angoscia provato nei confronti dell’esperienza stessa trasmutano il volo nella speranza di una salvezza costitutivamente fallimentare, nel tocco momentaneo di un Assoluto impossibile da determinare nello spazio-tempo e individuabile soltanto come accadimento evenemenziale in sé totalmente sfuggente. Steiner non pecca di hybris, come fanno invece Ulisse e Icaro, poiché assume su di sé il rischio e l’a-prioristica condizione dell’incalcolabile disfatta nella possibilità della futura e pericolosa caduta.

L’estasi è sospensione perturbante bipolarizzata: Steiner si eleva al di sopra della quotidianità e, contemporaneamente, arrischia se stesso sporgendosi sul bordo del precipizio. L’essere in bilico si tramuta così, da mero solipsismo, in una solitudine incompresa che si ravvisa non nell’opera del genio, ma nel gesto del folle. Steiner è eccezione eccezionale.  La poesia del volo dell’Icaro cosciente può esprimersi soltanto nelle immagini di Herzog. L’eco riproducibile e plurimo del salto, nella sua dilatazione spazio-temporale mostrata al ralenty, si trasfigura in ego anacoreta del volatore Steiner.

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Autore

Lorenzo Cascelli

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Estetica nel 2012 con una tesi su "The Tree of Life" di T. Malick e "Melancholia" di L. von Trier presso il dipartimento di Filosofia dell'università "La Sapienza" di Roma. Caporedattore prima di Arte e Libri e poi di Cinema presso Pensieri di Cartapesta, da Aprile 2014 sono direttore editoriale di Nucleo Artzine.

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