Regia Robert Altman
Soggetto e Sceneggiatura Robert Altman, Lionel Chetwind, Frank Barhydt, Patricia Resnick
Fotografia Jean Boffety
Camera Operator Paul van der Linden
Scenografia Wolf Kroeger
Costumi Scott Bushnell
Montaggio Dennis M. Hill
Musiche Tom Pierson
Effetti Speciali Tom Fisher, John Thomas
Cast Paul Newman, Fernando Rey, Vittorio Gassman, Bibi Andersson, Brigitte Fossey, Nina Van Pallandt
Produzione Twentieth Century Fox & Robert Altman (Usa)
Durata 111′
Erano anni che non vedevo un’anitra, non sapevo che esistessero ancora, dice Essex, protagonista del film, all’inizio dell’avventura all’interno dei segreti del quintet.
In una società in cui non resta molto, in una spessa e infinita coltre di neve e ghiaccio, agli uomini rimane soltanto il gioco: il quintet. Un gioco lento, assiduo e strategico che include fra le sue armi più affilate quella dell’omicidio. Uomini dati in pasto ai cani, se sconfitti. Uno di loro cerca di venirne a capo nei luoghi dove il gelo è più impervio ed ha il potere di ibernare le azioni nonché i sentimenti, dimenticati nelle lande contrite della memoria (nel film i personaggi si fermano spesso, dando la sensazione di essere sempre congelati, a riflettere sulla memoria).
Il gioco del quintet, venticinque livelli suddivisi in cinque settori, si svolge in una sala con al centro un tavolo a rombo dove gli uomini si posizionano strategicamente lanciando dadi e dichiarando quintet quando l’opportunità di centrarlo è dalla sua, secondo le regole di un perverso rituale. Il quintet è un gioco avvolto dal mistero, dove tutti sospettano di tutti e c’è qualcosa dietro all’ingegneria del Duca Grigor e alla caparbietà di St. Christopher che un uomo in particolare (Essex, colui che ama giocare solo quando va a caccia), tenta in tutti i modi di scoprire (interpretato da Paul Newman che si trova contro come acerrimo nemico nientemeno che il nostro Vittorio Gassman, a cui si aggiungono attori del calibro di Bibi Andersson, Fernando Rey, Brigitte Fossey).
Dietro all’ingegneria c’è colui che interpreta le regole e conserva una lista di prescelti, sopravvivendo all’interno di un albergo di ghiaccio con all’interno segni e simboli su vetri infranti e cisterne di alcol, perché finché ci sarà il muschio verrà fabbricato anche l’alcol.
Avvolto da scenografie di opprimenti interni somiglianti a lerce cantine dove il ghiaccio penetra ovunque, rese efficaci e suggestive da una fotografia semi-sfocata a contorno delle immagini, il film di Robert Altman, da un suo soggetto, ha il punto di forza nell’idea e nella messinscena. Il dipanarsi degli avvenimenti avviene in maniera lenta e ambigua, avvolgendo nel mistero ogni singolo dettaglio disseminato all’interno della trama, in maniera un po’ troppo enigmatica secondo le regole del gioco stesso (ma qui sta il più bello del film, chiuso com’è nei suoi codici indecifrabili, proprio perché costruito come le regole di un piccolo-grande cine-game). In conseguenza a ciò, innumerevoli sono le parole e i segni inspiegabili, coerentemente incanalati nel grande dilemma dei significanti (parole vagamente di ascendenza latina).
“Fra pochi anni e pochi mesi tutto il morire sarà compiuto …”, pronuncia a un certo punto del film uno dei personaggi principali (una donna) ed è indubbiamente la frase più significativa della filosofia archetipica del film. Un rituale di morte che non sembra lasciare alcuna via d’uscita. Il film diviene anche una spietata metafora sulla solitudine dell’individuo vittima dei rituali di una società che continua ad essere invisibile ma effettivamente presente nelle azioni distruttive.
Mantenere in vita il gioco, tutti gli elementi di vita sono contenuti nel gioco, la nostra arte, la nostra filosofia, ogni cosa dipende dal gioco, la sola cosa di valore; giochi per il brivido di poter restare vivo, non ci sono premi, è il gioco delle parti, una volta sopravvissuto non c’è nient’altro da imparare. Che sia una profezia quella di Altman? Sta di fatto che Quintet, progettato e realizzato tra il 1978 e il 1979, è un film terribilmente affascinante e allo stesso tempo molto, molto avveniristico ancora oggi, e direi utopistico dalla sensazione di reale, perché nella vita nessuno ci sta dentro per sua scelta (recita il quintet).