Regia: Michael Radford
Sceneggiatura: Michael Radford
Fotografia: Benoit Delhomme
Montaggio: Lucia Zucchetti
Musiche: Jocelyn Pook
Produzione: Cary Brokaw, Barry Navidi, Jason Piette, Edwige Fenech, Michael Lionello Cowan
Cast: Al Pacino, Jeremy Irons, Joseph Fiennes, Lynn Collins
Paese: Italia, U.S.A., U.K., Lussemburgo 2004
Durata: 124’
Venezia – 1596: in un crogiuolo sociale fatto di nobili cittadini, schiavi, avventurieri, principi orientali, prostitute, mercanti, gentildonne, poveri arricchiti e aristocratici decaduti, convivono, tra rigurgiti di reciproca insofferenza, cristiani ed ebrei. Dei primi è esponente il mercante Antonio, (Jeremy Irons); dei secondi l’usuraio Shylock (Al Pacino): sono loro i protagonisti di questa pellicola, tratta dall’ omonima opera di William Shakespeare, portata sul grande schermo da Michael Radford nel 2004. L’incontro-scontro tra le due civiltà religiose avviene per troppo amore e per troppo odio.
Antonio, che ama il giovane Bassanio (Joseph Fiennes) come e più di un figlio, vuole aiutarlo a conquistare il cuore della bella Porzia, ereditiera di Belmonte.
Così, pur avendo le proprie ricchezze impegnate su galeoni in viaggio per il mondo, gli offre il proprio nome come garanzia per il denaro che il giovane riuscirà a farsi prestare in città. Un creditore disposto a pagare la cifra richiesta c’è: è Shylock, ricco ebreo, pieno di risentimento e intima voglia di rivalsa verso la “casta cristiana” della società, da cui ha sempre ricevuto umiliazioni. Ma le condizioni del suo prestito sono dure: tre mesi per onorare il debito, oppure la riscossione di una barbara penale, equivalente ad una libbra di carne dello stesso Antonio. Il mercante per amore di Bassanio accetta. Ma la sorte prova gli uomini – insegna Shakespeare; così, mentre da un parte la figlia di Shylock fugge di casa con parte della fortuna paterna, per amore di un cristiano amico di Bassanio, e quest’ultimo conquista e sposa la sua Porzia, dall’altra le fortune di Antonio naufragano in mare ed egli, prossimo al fallimento, è chiamato in causa davanti al Doge di Venezia dallo stesso Shylock che esige irremovibile la sua penale. Il denaro non basta più, la clemenza non ha spazio: si richiede un esemplare sentenza di condanna per i torti morali e materiali che l’ebreo ha subito. Solo l’arrivo di Porzia, travestita da giovane avvocato, ribalta la situazione: sarà in grado Shylock di prendersi la sua libbra di carne senza versare una sola goccia di sangue?
Fedele alla trama shakespeariana, il film dimostra la complessità dell’opera da cui è tratto, che, mescolando aspetti divergenti, contraddizioni, lati oscuri ed escamotage brillanti, individua un notevole e lungimirante spaccato di umanità: vendicatrice, innamorata, offesa e abbandonata. Contrasti che s’intrecciano e capovolgono rapporti di forza: chi ha torto? chi ha ragione? Difficile assolvere qualcuno.
Antonio mal sopporta Shylock, tanto quanto Shylock depreca Antonio: sono esponenti di due mondi opposti, inconciliabili oltre il ragionevole e moderno sentire. Il mercante presta denaro per carità cristiana senza chiedere nulla in cambio; l’ebreo lo fa per interesse, come un primitivo usuraio, visto che alla gente cui egli appartiene, nient’altro per legge è concesso di fare. L’uno ha bisogno dell’altro, eppure entrambi si detestano e i pregiudizi reciproci giustificano l’oltraggio che degenera in violenza. Una violenza impunita. Sì, perché qui manca la giustizia, manca il redde rationem, tutto è ammesso, se è nero su bianco, tutto è imponibile per soddisfare una parte potente e ben accetta; forte con i forti, inesistente con i deboli, la giustizia è radicale, faziosa, cambia in un attimo, risponde a chi ha il denaro per interpellarla, specchio di una società corrotta ma predicatrice, che “protegge chi fa i soldi, ma bacchetta chi li vende”. Così è naturale si diffondano diffidenza, malumore, intolleranza, odio.
Eppure la vicenda si racconta con garbo, eleganza, attraverso molti primi piani, perché sono i visi a raccontare la storia: primo tra tutti quello di Pacino, bestia ferita e dolente, sconfitto e violentato dai “miscredenti” che lo calpestano; derubato, abbandonato, meschino e composto, rivendica fuori logica e oltremisura quei beni che sono, per volontà sociale, la sua unica dignità. Cieco nella sua rivalsa, come cieca è stata la sua discriminazione. Spaesato e disorientato nella condanna che lo depriva di identità, da par suo, non aggiunge né forza alcunché, semplicemente “sta”, come l’ebreo per antonomasia, conscio che “la sopportazione è la divisa della sua tribù”. Non da meno è Jeremy Irons, malinconico, sincero, innamorato disarmato di un giovane che potrebbe essere suo figlio, impossibile da non compatire, vittima e capro espiatorio di un’intolleranza rovesciata, che poco impiega a passare da un estremo all’altro. Da strappare la carne a strappare la fede religiosa il passo è drammaticamente breve, e il ventesimo secolo lo sa fin troppo bene. Languido Fiennes nel ruolo di Bassanio; eterea ammaliatrice la Porzia della Collins.
Magnificenti i costumi, appannaggio italiano, ricostruiti con meticolosa precisione e sontuosità. Sfondo magistrale e difficile da dimenticare Venezia stessa, stanca, decadente, affascinante, labirintica, che vive di affari e solo ad essi pare debba rendere conto, crocevia di civiltà che si etichettano a vicenda, si isolano, si disprezzano reciprocamente in un’intolleranza sempre più malcelata, che sembra presagire i rigori della Controriforma. Così l’antico rivive e la città spalanca le porte al set, regalando i suoi umori dolce-amari e la sua luce irriproducibile a questa storia che solo nel finale scongiura la tragedia, sciogliendo in parte i toni, in una simbolica alba nascente.