Pellicole in sagrestia: CENTOCHIODI

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Paese: Italia

Anno: 2007

Durata: 92 min.

Regia: Ermanno Olmi

Soggetto e Sceneggiatura: Ermanno Olmi

Produzione: Cinema11undici/ Rai Cinema

Distribuzione: 01 Distribution

Fotografia: Fabio Olmi

Montaggio: Paolo Cottignola

Musiche: Fabio Vacchi

Scenografia: Enrico Tovaglieri

Interpreti: Raz Degan, Luna Bendandi, Omero Antonutti, Amina Syed, Andrea Lanfredi, Michele Zattara, Damiano Scaini, Franco Andreani, Ylenia Mezzani

 

 

«Al di là del dibattito teologico, l’ultimo film di Olmi è un intenso racconto sulla fatica di vivere (e di credere) di fronte al silenzio di Dio». Scrisse così Claudio Carabba, critico del quotidiano “Il Corriere della Sera”, quando uscì Centochiodi di Ermanno Olmi. Da subito si comprendono le molteplici discussioni che scatenò, anche in virtù delle dichiarazioni lasciate dal regista, il quale disse che sarebbe stato il suo ultimo lavoro di fantasia. Questa battuta, però, è solo un minuscolo tassello rispetto a tutto quello che è possibile interpretare dopo la visione di questo film.

Un giovane professore di filosofia della religione (Raz Degan), attraverso un teatrale gesto simbolico di ribellione, pianta a terra, utilizzando dei chiodi, cento preziosi incunaboli della biblioteca dell’università. Contrariamente al modo in cui viene visto l’atto, considerato come l’opera di uno squilibrato, il suo profondo significato non va analizzato nel suo aspetto meramente estetico. Colpire al cuore quei volumi ricchi di una sapienza che il protagonista conosce bene, crocifiggendoli letteralmente, è il segno di un acculturamento che indica quale sia la giusta strada da perseguire nella vita. Lo ammette anche il protagonista nel corso di un interrogatorio: un caffé con gli amici vale molto di più. La sua fuga da quei luoghi così opprimenti per iniziare a essere realmente se stessi, e non come i libri sacri vorrebbero che fossimo, parlando degli uomini e di Dio, sancisce la differenza abissale tra il dogmatismo di cui la religione si fa portavoce e l’esperienza di vivere in simbiosi con la natura e con le realtà più quotidiane e popolari. Lo si nota soprattutto nella diversità che c’è tra gli anziani del paese sulle sponde del Po e il monsignore. Due realtà del tutto lontane, in cui se da una parte c’è una particolare durezza sulle idee, le quali non devono assolutamente essere messe in discussione e devono essere applicate nella società così come sono, dall’altra ci sono anziani che hanno fatto delle esperienze di vita la loro saggezza. Il protagonista lo percepisce profondamente e quando si trova ad affrontare l’ecclesiastico, in lui brucia quella forza vitale che, se vista con uno sguardo religioso, pare demoniaca. Tale vitalità, in verità, non vuole rinnegare tutto ciò che in passato ha appreso, ma comprende che un’esistenza fatta solamente di carta porta ad amare di più i libri che gli uomini. E forse, essa diventa talmente potente dentro di lui che, alla fine, ci lascia presagire un prematuro suicidio.

Le critiche e le interpretazioni sono nate proprio da questo finale aperto. I dubbi possono nascere in merito al fatto che, dopo la presa di coscienza che l’ego del professore fa nei confronti di tutto ciò che ha acquisito soltanto tramite lo studio, egli non ritorna laddove era riuscito, finalmente per la prima volta nella sua vita, a trovare una sintonia con la natura e con la quotidianità. Nonostante gli abitanti del paese attendano, a lungo e invano, il ritorno del professore, che per la prima volta ha potuto sentire vicino a sé il vero affetto che le persone possono donare, egli rimarrà comunque nella memoria di quei luoghi come una figura carismatica e mistica, proprio come un profeta o, dato il soprannome con cui gli anziani lo definiscono, come Gesù.

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