Pellicole in sagrestia: DIES IRAE

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Regia: Carl Theodor Dreyer

Soggetto: Hans Wiers-Jensen

Sceneggiatura: Carl Theodor Dreyer, Paul Knudsen, Mogens Skot Hansen

Fotografia: Carl Andersson

Montaggio: Anne Marie Petersen, Edith Schlussel

Musiche: Poul Schierbeck

Cast: Sigurd Berg, Albert Hoberg, Herald Holst,Preben Lerdorff Rye, Lisbeth Movin, Thorkild Roose, Olaf Ussing

Produzione: Palladium Film (Danimarca – 1943)

Durata: 93’

Ambientato nel 1632, nel corso della infernale Riforma luterana, il film del regista danese Carl Theodor Dreyer, si apre e si chiude sul testo del Dies Irae, canto da requiem che accompagnava al rogo i condannati. Racconto sull’intolleranza dell’Inquisizione, avvolto dentro una cupa atmosfera di presagio di morte, il capolavoro assoluto di Dreyer ci illustra, in una raffigurazione visiva che sembra muovere le sue forme direttamente da un quadro di Rembrandt, la caduta al rogo della presunta strega Marte Herlofs, che evita giusto il linciaggio, rifugiandosi nella casa del pastore Absalon, sposato con la giovane Anne. La madre della giovane venne scagionata dall’accusa di stregoneria, proprio per intervento del giovane padre, che ora, si tormenta per l’implacabilità della condanna di Marte, mentre Anne inizia una relazione con il figliastro Martin, interessandosi sempre di più alle arti magiche. Quando Absalon muore, la stessa Anne viene accusata di maleficio, stavolta dalla nuora Merete che riesce ad influenzare i sentimenti di Martin. La situazione fa perdere forza e fiducia nella donna che si autocondanna.

Come in Ordet, posteriore a Dies Irae di 11 anni, il presunto miracolo ha nomea di fede, solo che nel film del 1943, l’accostamento con le arti magiche diviene motivo di condanna. Il miracolo di Johannes, nel film del 1954, si fa verità per il rigore assoluto della fede dell’uomo che si crede Gesù Cristo. Le nette differenze contenutistiche del film s’incontrano di fronte alla mancanza di reale fede della Chiesa, insensibile di fronte alle reali sofferenze, schiava com’è delle superstizioni del potere sovrano.

Il film è stato prodotto e girato in Danimarca durante l’occupazione nazista, regime che invase il territorio danese tre anni prima, suggellando una resa che fa il paio con l’accettazione del dolore eterno della giovane Anne. Marte era innocente, così come Anne, ma anche i colpevoli muoiono nei film di Dreyer e a volte, come nel sopracitato Ordet, i buoni resuscitano: la resurrezione tanto sussurrata e sofferta, a lungo invano attesa, avviene a seguito della fede innocente di una bambina che la invoca a Johannes. In Dies Irae, il manto oscuro della religione tappa tutte le vie di fuga, conclamando una esplicita forma di libertà insita nella presa di posizione della donna.

Tratto dal romanzo Anne Pedersdotter (1906), dello scrittore norvegese Hans Wiers Jenssens, Dies Irae va a fondo con quelli che sono i temi portanti dell’altro suo capolavoro assoluto, il film muto La passione di Giovanna d’Arco (1928), opera d’arte del Novecento; qui la materia scottante di denuncia si fa asfissiante ignominia nella cupa cappa del Seicento, che avrebbe poi accompagnato in forme diverse, tutta la storia della Chiesa, fino ai giorni nostri.

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Webmaster - Redattore Cinema

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