Pellicole in sagrestia: IL GRANDE SILENZIO

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Titolo originale: Die Groβe Stille

Paese: Germania

Genere: Documentario

Regia: Philip Groning

Soggetto e Sceneggiatura: Philip Groning

Fotografia: Philip Groning

Montaggio: Philip Groning

Musiche: Michael Busch, Philip Groning

Anno: 2005

Durata: 162′

“Questo è il silenzio: Lasciate che il Signore pronunci in noi una parola uguale a Lui.” In un sistema cinematografico in cui traboccano film ricchi di frastuoni, effetti speciali, disastri, violenza e sangue, il documentario capolavoro di Philip Groning presenta, già a partire dal titolo, la contemplazione in cui veniamo immersi. Il grande silenzio non è un semplice lavoro che documenta la vita all’interno di questo monastero della Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi nei pressi di Grenoble, ma riesce a superare questo status.

L’occhio della macchina da presa e gli spettatori vivono le stesse emozioni, meditano sugli stessi dubbi, cedono inesorabilmente al fascino delle immagini, le quali trascinano chi guarda non solo nei corridoi del monastero, ma soprattutto nell’intimità che sboccia durante la preghiera e la liturgia dei padri. La vita eremitica viene registrata e riproposta nella sua quotidianità, anche con l’arrivo di un novizio al convento. Non si tratta, però, di uno sguardo invasivo e voyeuristico, tipico della televisione, ma di una gestione fotografica particolarmente calma, ben immersa in quell’ambiente. Gli unici strumenti verbali concessi sono i salmi, le cui immagini, sgranate e costantemente ripetute, diventano l’unico accesso per l’alto pensiero divino

Come un mantra, il regista mette, dunque, la grammatica del cinema a disposizione della profonda preghiera dello spirito e il risultato è pienamente riuscito. La fisicità del film ridisegna totalmente la nostra concezione di spazio e tempo, lasciandoci immergere nelle incantevoli sensazioni percettive attraverso, soprattutto, le sfumature tra la luce, in cui assistiamo ai lavori e agli affari dei monaci, e il buio, solenne momento di preghiera comune. Ci sembra di vivere in un’altra dimensione, lontanissima dai ritmi a cui siamo sempre stati abituati. Non siamo in Tibet, ma in Francia, dunque un luogo vicinissimo alla nostra realtà.

L’esperienza contemplativa passa anche tramite la suddivisione in didascalie, che diventano il nostro modo di entrare in contatto con quel mondo così affascinante quanto lontano, quasi come fosse posto a metà tra Dio e gli uomini. Ascoltare quei rumori così semplici, i quali altro non sono che la manifestazione di una comunicazione tra i monaci e la natura, e quei silenzi così assordanti, ci permettono di aprire una via di purificazione della nostra anima e del nostro ego. Comprendere quanto possa essere efficiente la sopravvivenza di una comunità umana se riesce a legare il proprio spirito con il mondo circostante e con la reiterazione della preghiera diventa qualcosa di estremamente spiazzante per chi è abituato ai ritmi forsennati di una vita moderna. Chi, però, riesce ad aprire gli occhi, la mente e lo spirito verso quella dimensione ascetica, è in grado di assaporare la profonda meditazione che la semplicità e, al contempo, la laboriosità delle inquadrature fanno suscitare.

Non è stato un caso che il regista abbia dovuto aspettare ben sedici anni per poter iniziare la documentazione all’interno del monastero. I padri hanno preferito attendere così tanto affinché la propria intimità potesse essere pronta a un’esperienza così particolare per loro. Il regista ha vissuto lì dentro per quattro mesi, raccogliendo moltissimi metri di pellicola, per poi effettuare un gigantesco lavoro in fase di post-produzione. Il risultato finale è la piena percezione di provare le medesime profonde emozioni di chi vive, asceticamente, in quel grande silenzio.

 

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Webmaster - Redattore Cinema

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