The last temptation of Christ (1988)
Durata 164’
Regia Martin Scorsese
Soggetto Nikos Kazantzakis
Sceneggiatura Paul Schrader
Fotografia Michael Ballhaus
Montaggio Telma Schoonmaker
Musiche Peter Gabriel
Interpreti William Dafoe (Gesù), Harvey Keitel (Giuda), Barbara Hershey (Maria Maddalena), Victor Argo (Pietro), John Lurie (Giacomo), David Bowie (Ponzio Pilato), Harry Dean Stanton (Saul/Paolo).
«The dual substance of Christ – the yearning, so human, so superhuman, of man to attain God… Has always ben a deep iscrutable mistery to me. My principle anguish and source of all my joys and sorrows from my youth onward has been the incessant, merciles battle between the spirit and the flesh (carne)… And my soul is the arena where these two armies have clashed and met».
La frase di Kazantzakis, esergo del film di Scorsese, ci conduce verso la figura di un Gesù tremebondo, diviso tra la Carne e lo Spirito, insicuro della sua sostanza divina e del suo compito messianico da svolgere, qui, sulla Terra. Gesù costruisce croci per i romani, è uno “sporco collaborazionista” che svolge il suo lavoro per uccidere il Messia, chiunque esso sia… Gesù è un uomo che taccia di odio l’amore divino; tra strazi e lamenti, il suo possibile dovere messianico è visto come la peggiore delle pene corporali. “L’ultima tentazione” è in questo momento il rischio dell’abbandono alla fede, non una ricerca in preda allo sconforto, bensì l’assunzione di un compito rivoluzionario. Prima d’intraprendere il cammino di predicazione, Gesù deve credere di essere il figlio di Dio, credenza che ha, in primo luogo, una matrice dubitativa: credere di non credere di essere il Messia per poi accettare di essere “maledetti” dalla benedizione divina. Quella che ci appare, davanti ai nostri occhi, è una nuova comprensione della fede, nata dalla sua messa in questione. Il viaggio nel deserto ci pone dinnanzi all’essenza ferina e carnale di Gesù: una natura confinata e mai espletata, bandita dalla paura per la mancata remissione del peccato. Il momento ante predicativo s’immerge nell’introspezione del sé non tanto come esame di coscienza, quanto come presa in carico della propria condizione di finitezza umana.
Solo da questo momento può cominciare la predicazione di Cristo: il racconto di una buona novella fatta di amore, fratellanza, carità. L’incontro, ancora una volta nel deserto, con il serpente, il leone, la fiamma satanica e il melo porta Gesù a programmare un’azione della spada volta al compimento di una trasvalutazione di tutti quei valori simbolo della perdizione del contemporaneo e dell’affermazione di una morale del gregge puramente cristiana. Sono questi i momenti precedenti allo sviluppo del cammino teleologico di “perfezionamento” del Cristo; un percorso che prevede, alla sua fine, la cattura – di cui Giuda è fautore sotto la richiesta implorante di Gesù stesso – e la morte sulla croce. Sentiamo qui il ritorno, in tutta la sua potenza, della paura per la morte, schiacciata poi, apparentemente, dall’accettazione dell’evento sacrificale del morire per l’Altro; atto che, tuttavia, viene destituito proprio sulla croce tramite l’insorgenza di un angelo custode, in realtà diavolo custode, inviato da satana e vegliardo della vita non vissuta di Gesù.
La frase «Padre, perché mi hai abbandonato?» assume, qui, i contorni dell’abbandono del sacrificio al fine della riappropriazione della propria essenza carnale. Per questo motivo “l’ultima tentazione” è, in realtà, la tentazione originaria dell’esser uomo dell’uomo, non fatiscente deviazione della storia evangelica di Cristo nel fallimento della propria natura divina, bensì definizione della primigenia matrice carnale dell’umanità.
Gesù nella sua vita post croce fa il bracciante ed è poligamo. Gerusalemme è in fiamme e nella casa di un Cristo, oramai settantenne, appare, insieme a Pietro e Giovanni, Giuda. Vi è qui l’inversione della logica storica tradito-traditore: Giuda, il quale aveva accettato precedentemente d’incastrare Gesù per farlo crocifiggere sul Golgota affinché l’umanità potesse essere redenta e salvata, si sente tradito dalla fuga di Cristo dal suo costitutivo ruolo messianico. Solo a questo punto, nella costatazione della gravità dell’errore, il Cristo è pronto a riprendere il suo cammino, oltrepassando la soggettività carnale e riassumendo la propria natura divina.
Il Gesù risorto, creato da Paolo quasi come fosse una figura favolistica, falsa verità per redimere il mondo, s’identifica così, finalmente, nel Gesù salvatore, prima di tutto redento dalla sua ultima tentazione, la prima di ogni essere “velatamente” vivente. La discesa dalla croce diviene ascesa al cielo, balzo temporale nel passato tramutato ora in presente. La realtà di una vita carnale, vissuta fino in fondo, si trasforma in dispositivo futuribile del Cristo tornato sulla croce, in proiezione onirico-satanica dell’attimo in cui Egli si è sentito abbandonato dal Padre, e fa da contraltare, provato, sentito, all’avvento e alla realizzazione della sua istanza messianica e resurrezionale. “L’ultima tentazione” è così, anche, l’ultimo tentativo, fallito, di sfuggire al proprio compito extra accidentale