Regia Roland Joffè
Soggetto Robert Bolt
Sceneggiatura Robert Bolt e David Puttnam
Produzione Warner Bros (USA, 1986)
Musiche Ennio Morricone
Fotografia Chris Menges
Montaggio Jim Clark
Scenografie Stuart Craig
Con Jeremy Irons, Robert de Niro, Liam Neeson, Ray McAnally, Aidan Quinn
Durata 120’
Sotto queste festività di Pasqua, sarebbe necessario ricordare quanto, ancora nel 2012, l’Italia sociale e quella istituzionale siano pesantemente condizionate dall’esistenza dello Stato Vaticano. Dalla nascita della dottrina cattolica, il destino del nostro paese è rimasto legato alle politiche e alle ideologie dei successori di Pietro, primo papa della storia. Con la mia analisi vorrei tracciare un confine, necessario e, a mio parere, dovuto tra Chiesa Cattolica e religione Cattolica, non come due facce della stessa medaglia, ma come due cose ben distinte e di ben diverso valore.
E’ il 1750, e il gesuita Gabriel (Jeremy Irons) viene inviato in Paraguay per prendere il posto di un missionario ucciso dagli Indios. Mendoza (Robert de Niro) è un mercante di schiavi che, dopo aver ucciso suo fratello, si unisce alla missione per espiare i propri peccati. Insieme, i due uomini cercano la redenzione e la pace, vivendo a stretto contatto con le tribù indigene e abbandonando preconcetti e propositi personali. Purtroppo l’obiettivo della Chiesa di Roma è ben diverso e Gabriel scoprirà l’incoerenza e la contraddizione del potere politico in cui credeva.
“Non siamo membri di una democrazia, siamo membri di un ordine”, sono le parole che Gabriel rivolge al confratello Fielding (Liam Neeson) senza sapere che quello stesso dogma si ritorcerà contro di lui e le persone che ama. Il potere politico della Chiesa ha molto poco a che fare con gli insegnamenti di Cristo; la storia ci ricorda le inquisizioni, le crociate, la demonizzazione della donna, sino ad arrivare all’attuale rifiuto dell’uso del preservativo e della ricerca staminale, entrambi cause di milioni di morti l’anno. Gabriel scopre che il benessere e la salvezza, persino quella spirituale degli indigeni, hanno, per la Chiesa, meno importanza dei rapporti politici con la Spagna e il Portogallo, e si ritrova di fronte alla nuda realtà. Lo sterminio di donne, bambini e missionari, con il tacito consenso di Roma, crea un abisso incolmabile tra fede e istituzione, dove i cosiddetti selvaggi, pagani, atei o peccatori sono molto più vicini alla dottrina di Cristo che non i vescovi o i papi assisi su irraggiungibili troni barocchi. Il regista anglo-francese Roland Joffè ha realizzato un’importantissima opera introspettiva capace di commuovere e indignare e, soprattutto, di scuotere la cortina di fumo che relega in sordina i peccati atroci commessi dalla Chiesa. Irons e De Niro si muovono in paesaggi incredibili di verdi strapiombi e foreste pluviali, riecheggianti un Eden lontano, merito del grande lavoro del direttore della fotografia Chris Menges e dell’eccezionale ricostruzione storica di Stuart Craig. Le musiche di Ennio Morricone fluttuano come il vapore delle imponenti cascate e toccano le più intime corde dell’anima. Mission deve la sua incredibile sensibilità all’opera dello scrittore e sceneggiatore Robert Bolt che, assieme a David Puttnam, ci regala un affresco memorabile dal profumo vagamente francescano; un ritorno al Paradiso Perduto, ritrovato grazie all’umiltà, all’amore e all’accettazione del diverso, credente o meno; un Paradiso che sarà per sempre ironicamente precluso alla miope Chiesa di Roma.