Sans toit ni loi 1985
Durata 105’
Regia Agnès Varda
Sceneggiatura Agnès Varda Fotografia Patrick Blossier Montaggio Patricia Mazuy e Agnès Varda Musiche Joanna Bruzdowicz Interpreti Sandrine Bonnaire, Setti Ramdane, Francis Balchère, Macha MérilUn film di Agnès Varda del 1985 (Sans toit ni loi) che ripercorre – mettendone insieme i pezzi mancanti – alcune tappe della vita di una solitaria e misteriosa vagabonda.
Titoli di testa. Siamo in una campagna sperduta nel Sud della Francia. Uno spettrale paesaggio riflette il pallore della gelida alba invernale. La polizia ritrova il cadavere di una giovane donna riverso sul ciglio di un fosso. Nessun indizio o elemento riuscirà a far luce sull’oscura vicenda, presto archiviata nel fascicolo dei casi irrisolti con la solita conclusione di circostanza: ennesima vagabonda, senza arte né parte, morta semplicemente di fame o di freddo.
Il film è costituito dall’intreccio di varie dichiarazioni e testimonianze delle molte persone che hanno incontrato la giovane vagabonda Mona, interpretata da una Sandrine Bonnaire che sa essere aspra e derelitta quanto basta: negozianti, barboni, una fitopatologa, la cameriera di una vecchia signora, un filosofo tornato alla natura che, con moglie e bambini, vive facendo il capraio.
E’ la storia di una scelta di vita, il cui tragico epilogo si consuma proprio accanto alla strada, una di quelle che la misteriosa e avventurosa ragazza, venuta non si sa da dove, amava percorrere nel suo incessante errare senza meta, alla ricerca di lavoretti per sopravvivere, ma soprattutto di esperienze forti.
Agnès Varda mette in scena con uno stile asciutto, il martirio di una giovane e bella barbona: una struttura narrativa che tende ad enunciare i fatti, escludendone ogni intima penetrazione, affidandosi alla fredda oggettività del referto.
Con l’ausilio di ellissi che, nel filtrare tutto, tacciono i momenti superflui ma anche quelli più necessari a livello narrativo, la storia di Mona ci viene restituita in modo semplice e sintetico evitando torsioni melodrammatiche.
Una ragazzotta senza passato, sporca e un po’ sguaiata che ha scelto la strada del vagabondaggio non si sa per quale ragione. Durante il suo viaggio, pretende aiuto dalle persone che incontra che, seppur gentili, ripaga con atteggiamento ingrato e impertinente. Qualcuno racconta di averla messa in guardia, per cui non sente alcun rimorso alla notizia del ritrovamento del suo cadavere in un fosso. Qualcun altro, intervistato, dà la colpa a una società crudele e intollerante con gli emarginati. C’è chi invece parla di lei proclamandola santa, o chi, avendo stabilito con lei un rapporto di confidenza, si sente in colpa per non averla fermata in tempo.
I personaggi che Mona incontra lungo la strada, offrono diversi punti di vista, che costruiscono un ritratto astratto e ambiguo della giovane vagabonda. Variano i toni che, orchestrati in modo da dare ampio spazio a violenza, paura e indifferenza, non escludono sentimenti come l’ironia e la compassione.
Un saggio filmico che non offre risposte, ma che vuole proporsi come lo spaccato sociologico di una vita umana che rompe ogni schema prestabilito vivendo all’insegna della dissolutezza e delle proprie pulsioni.
Una vagabonda, quindi, il cui stile di vita, avulso da ogni etica o morale, spesso sfoggiato con irriverenza e sfacciataggine, altro non è che il tentativo estremo di dare libero sfogo al proprio bisogno di libertà e al proprio istinto, perturbante nella sua autentica disinvoltura.