PER NON DIMENTICARE

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«Io sono tutte le madri!» grida la protagonista infuriata – in un raro guizzo di lucida coscienza – in faccia a un altezzoso commissario durante l’interrogatorio. Lei, la Vita; lui, lo Stato. Lei, letteralmente pazza di dolore; lui complice di un assassinio. Uno dei tanti, anonimi conniventi. Lei è la mamma simbolica di Valerio Verbano, Stefano Cucchi, Giorgiana Masi, Federico Aldovrandi e tanti altri ragazzi deceduti in circostanze oscure. Misteriosamente massacrati, per dirla tutta. Lei rappresenta la voce di tante madri-coraggio che hanno i piedi sanguinanti per la loro instancabile e faticosa marcia alla ricerca della verità.
La tragedia della perdita di un figlio rappresenta, per una casalinga ordinaria, lo spartiacque della sua esistenza: da cuoca provetta e moglie soddisfatta a mero involucro, deprivato dell’anima. I suoi movimenti, meccanici e robotizzati, parlano della sua dis-umanizzazione, necessaria per sopravvivere al dolore di non sapere. Di non sapere come, perché e chi ha deciso che tutto dovesse essere distrutto.

«Prima di morire, voglio capire», sussurra la protagonista, ormai ridotta a bambola automatizzata, in bilico tra tagliente razionalità e travolgente follia.
Ad apertura di scena, sulle note frizzanti de Il pranzo è servito, la sua espressione idiota e i movimenti stranamente ripetitivi ci parlano di un cortocircuito. C’è chiaramente qualcosa che non va. In lei e nella società. Dalla musica briosa di una trasmissione demenziale si passa alla voce cupa del cronista del telegiornale. La lana bianca che era solita lavorare diventa rossa, macchiata di sangue. La sigla allegra del programma televisivo si trasforma in frastuono tecno, grido straziante dell’anima.
Anche la sua vita oscilla, in equilibrio precario, tra due estremi: tra reale e surreale, tra oggettività e delirio. Dalla ricetta delle polpettine passa a proclamare – ispirata ai valori di lotta sociale del figlio – quella della civiltà: pensiero, parola, confronto, mescolati poco alla volta alle emozioni. Il dolce ricordo delle espressioni premurose del suo ragazzo si sovrappone, nella sua mente confusa, al pianto inquietante di bambini, rappresentati sul palco come burattini legnosi, vezzeggiati e poi dati in pasto alla sorte. Per lei, ormai, ogni giorno senza verità non è altro che una domenica inondata di doloroso silenzio. «Svegliati madre: quel volto non tornerà mai più bianco. E’ solo un altro sogno».
Chiara D’Ostuni è un’attrice straordinaria, in grado di rappresentare con mirabile credibilità ogni sfumatura di emozione, supportata da una forte vocazione all’impegno sociale e da una mimica singolare. La regista Manuela Rossetti ha sviluppato un tema tanto drammatico e attuale con intelligenza e sensibilità insolite. Brillante e commovente al tempo stesso l’idea di raccontare stralci di vita, come versi di fresche poesie, di ragazzi privati ingiustamente della loro voce, dei loro volti, del loro cuore.

LA RICETTA DELLA VERITA’. Studio sulla follia di una madre
Con Chiara D’Ostuni
Regia Manuela Rossetti

Sabato 14 gennaio 2012, ore 21 e domenica 15, ore 18
Teatro S. Genesio – Roma

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