teatro Argentina, Romatratto dal Mahabharata e dal testo teatrale di Jean-Claude Carrière adattamento e regia Peter Brook e Marie-Hélène Estienne con Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba, e Sean O’Callaghan musiche Toshi Tsuchitori costumi Oria Puppo luci Philippe Vialatte Produzione C.I.C.T. – Théâtre des Bouffes du Nord Co-produzione The Grotowski Institute, PARCO Co. Ltd / Tokyo, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Young Vic Theatre, Singapore Repertory Theatre, Le Théâtre de Liège, C.I.R.T., Attiki cultural Society, Cercle des Partenaires des Bouffes du Nord 12 maggio 2016,
Peter Brook è uno dei più grandi maestri del teatro contemporaneo, un artista geniale e gentile, che alla veneranda età di 91 anni continua a creare e a girare per il mondo con le sue opere. A Roma, all’interno della stagione del teatro Argentina, ha portato la sua creazione Battlefield, un estratto del suo monumentale Mahabharata che nel 1985 fece scalpore al Festival D’Avignone con le sue 9 ore di messinscena. Per l’occasione il direttore del teatro di Roma Antonio Calbi e il commissario straordinario Tronca lo hanno insignito della Lupa capitolina – l’alta onorificenza cittadina – in segno di gratitudine per il prestigio internazionale e l’opera svolta.
Il testo, celebre poema epico indiano, è un racconto di violenza fratricida, di guerra e sangue, una lotta universale che parla a tutte le coscienze e a tutte le epoche. La guerra si consuma tra fazioni della stessa famiglia, i Bharata che attuano un feroce sterminio volto alla supremazia di una fazione sull’altra. La vittoria è amara e triste, è il frutto di una carneficina fraterna; non c’è in essa soddisfazione bensì paura e sconforto. Una terribile ansia avvolge Yudishtira, colui che vincendo è diventato il nuovo re: l’ansia di non essere in grado di governare con giustizia e onore, di non essere meritevole di tale appellativo.
I colori della terra, le lunghe aste di legno, le stoffe dalle tonalità calde e la musica dello djembe rendono la scena estremamente essenziale ed evocativa. La messinscena è precisa e poetica ed è in grado di essere ironica con naturalità. È un orologio perfetto, senza sbavature, con dinamiche e interazioni drammaturgicamente intense.
Al di là della bellezza e della poeticità di ogni singolo intervento e gesto, il messaggio è forte e chiaro. Il richiamo alle guerre di religione che infuocano a livello mondiale in questo periodo si sente netto e crudele. Fin dal primo monologo, lo scenario evocato da Yudishtira disegna nelle menti degli spettatori gli orrori dei massacri che siamo abituati a vedere in maniera sempre più diretta in questo momento storico.
È lo stesso Brook che afferma: «Quando guardiamo i notiziari, siamo arrabbiati, disgustati, furiosi. Ma nel teatro ognuno può vivere attraverso tutto questo e uscire più sicuro, coraggioso e fiducioso nel poter affrontare la vita».
Un grazie particolare a questo grande uomo di teatro, capace di donarci sempre più forza e coraggio con la sua arte.