Pietro Roffi è un musicista dal grande talento. Basti pensare che è laureato al Conservatorio di Santa Cecilia con lode e menzione e che già, a soli 23 anni, ha suonato praticamente in tutto il mondo. Ma non è solo questo che rende Pietro un musicista talentuoso e alquanto particolare; è soprattutto il suo strumento a renderlo unico nell’ambiente.
Pietro Roffi è un fisarmonicista.
La redazione di musica di Nucleo ha avuto il piacere di parlarci un po’, perché Pietro fa parte di quella musica da portare alla luce, di quella musica da ascoltare.
Pietro, raccontaci cosa suoni, ma soprattutto perché.
Suono la fisarmonica o, meglio, la fisarmonica classica. 226 bottoni in totale, 15 chili, un’estensione oserei dire infinita, una gamma di colori davvero sorprendente e, soprattutto, un mantice che gelosamente definisco «cuore pulsante» dello strumento, un respiro che va insieme a quello dell’esecutore e che scandisce le emozioni del pubblico. È uno strumento che mi permette di affrontare un repertorio che va dalla musica barocca fino alla musica contemporanea, scritta e pensata proprio per questo strumento e quando la gente mi chiede perché proprio la fisarmonica io rispondo sempre che non avrei potuto suonare uno strumento diverso: questione di destino.
Fai parte di un “mondo musicale” molto diverso e sicuramente molto più concreto rispetto a quello super affollato dei musicisti emergenti, dei turnisti, degli autodidatti, degli indipendenti, etc…il tuo talento è il tuo lavoro. Ecco, com’è essere un musicista del tuo livello?
Ad oggi, essere un fisarmonicista è per me un grosso vanto. Quando ho iniziato a proporre i miei recital avevo davvero pochissima esperienza e posso dire di aver beccato dei «no!» molto secchi e antipatici, soprattutto da quel mondo musicale antiquato e altezzosamente conservatore. Provenendo da una famiglia modesta tutto ciò che ho creato proviene direttamente dalla creatività e potrei dire che Pietro Roffi, oggi, è un ragazzo di 23 anni che passa le giornate a vivere di musica e a praticare fantasia. Sempre armato di umiltà e della giusta dose di senso pratico e audacia, invento ogni ora dei nuovi concetti da applicare non solo ai pezzi che studio ma anche al mestiere che faccio. Sono solito appuntarmi di tutto: da un pp (pianissimo) su un passaggio di una sonata mentre sono in metro, fino alle idee di collaborazione più insolite e che potrebbero passarmi di mente. La mia priorità, sia nell’arte della musica che in quella del mestiere di musicista, non è stata mai quella di essere il classico – presunto – concertista che guarda al passato in cerca di vecchi modelli oramai non più funzionanti, ma quello di essere un musicista giovane, aperto e dinamico che cerca invece di guardare verso il futuro per servire al pubblico idee nuove e stimolanti. Non possiamo permetterci di dire cose già dette, ma come artisti abbiamo il dovere di esprimere qualcosa di unico e personale.
Quando hai iniziato la tua attività concertistica, e in cosa consiste.
La mia carriera concertista è iniziata nel 2011 e finora conto quasi cento recital in molti paesi del mondo. Nel mio modo di vedere le cose il concerto corrisponde con la parola “missione”; nel corso degli ultimi anni ho avuto modo di esibirmi in Europa, in Asia, in Sud America e i miei recital non sono mai stati, e mai lo saranno, una sola esibizione delle mie capacità di esecutore e del mio modo di vivere la musica, ma anche una forte volontà di far capire che la fisarmonica non è solo musica popolare (ambito in cui nasce e che, peraltro, amo), ma altresì possibilità di eseguire e interpretare opere che hanno fatto la storia della musica colta.
È molto affascinante vederti ed ascoltarti suonare. Riesci a rendere la tua fisarmonica una sorta di porta temporale evocativa. Personalmente ho la convinzione che la musica, e l’arte in generale, compia il suo percorso quando interagisce con lo spettatore. Cosa lasci tu nelle tue performance e cosa cerchi in cambio da chi ti ascolta.
Personalmente non cerco nulla in cambio dal pubblico, al massimo raccolgo i frutti di quello che invece voglio lasciare. Ciò che incondizionatamente offro al pubblico è quello che giorno dopo giorno costruisco sulla base della mia esperienza di vita. Così, quando sento degli strimpellatori (che dilettanti è dir poco) far coincidere la vita stessa con la musica penso davvero che debbano cambiare mestiere: la musica è solo una parte della vita, e vive grazie ad essa. Posso dire con certezza che non c’è nulla di più bello che una passeggiata al lago e che senza la musica la vita sarebbe sì meno bella, ma non di certo un errore! Ecco perché le mie esibizioni non hanno la pretesa di cambiare il mondo ma, semmai, solo quella di migliorare anche di poco la giornata di una persona. Un aspetto che mi appartiene più di ogni altro è quello di fare «Arte per l’Arte».
Quali sono i tuoi progetti futuri.
Il 2016 sarà un anno pieno di concerti. Avrò tournée in diversi paesi del mondo, tra cui l’Australia, la Romania, l’Inghilterra, il Sudafrica, tornerò anche in Sudamerica, e ci sono ancora altri paesi da confermare. Insomma, un anno davvero entusiasmante! Molti viaggi, nuove collaborazioni (ho da poco formato il Duo Matisse con il chitarrista Gian Marco Ciampa), tanti giorni spesi fuori casa ma soprattutto un anno di studio intenso e di nuove esperienze. Presenterò principalmente due recital: uno interamente dedicato a Scarlatti, uno dei miei compositori preferiti, e un altro, il “Solo Voyage” che consiste in un vero e proprio viaggio nella storia della musica occidentale. Sembrerà assurdo ma con il mio agente stiamo già lavorando ai concerti del 2017!