VIOLA DI MARE
dal romanzo “Minchia di re” di Giacomo Pilati
di e con Isabella Carloni
Interventi sonori Alfredo Laviano
Assistente alla regia Mariella Lo Sardo
Scene Giancarlo Gentilucci
Costumi Stefania Cempini
Disegno luci Daniela Vespa
Organizzazione Tiziana Irti
Fotografie Paolo Porto
Produzione Arti e Spettacolo, Rovine Circolari_Teatro
Dal 17 al 18 novembre 2011, ore 21.00 – Teatro Arvalia – Roma
Viola di mare, che nasce da una storia vera, narrata prima nel libro Minchia di re di Giacomo Pilati e poi dall’omonimo film diretto da Donatella Maiorca, rivive sul palco con l’adattamento di Isabella Carloni, raccontando la storia di Pina e della sua amata Sara, in una Sicilia (accennata, sulla scena spoglia, dalle tonalità calde delle luci) maldisposta ad accogliere la diversità, ma capace tuttavia di chiudere omertosamente un occhio, negando persino l’evidenza per opportunismi di vario genere. Accade così che Pina non possa amare Sara, ma “Pino” (seppur irrimediabilmente fimmena) sì.
Il filo su cui si gioca la partita è ottimamente reso già all’inizio, quando Pina ci accoglie in sala con indosso solo la fascia che usa per comprimere il seno e poco più – in una fase di transizione, quindi, esattamente a metà tra Pina e “Pino”, l’alter ego maschile creato per lei dalla madre con la complicità del parroco. Come scopriremo più tardi, Pina si trova in procinto di indossare abiti femminili per posare per un ritratto, decidendo poi di vestirsi invece da Pino e di raccontare, in una serie di quadri, la sua storia: dal fulminante, primo incontro con Sara, al primo gioioso, furtivo bacio tra le due; dal potere incontro e il potere ereditato dal padre sugli operai delle cave di tufo all’epilogo.
Ogni tanto, però, non è Pina/Pino a parlare, ma altre voci, altri corpi (sempre interpretati dalla Carloni), come quello del prigioniero Cecè, che appioppa a Pina il soprannome di “minchia di mare (dal nome siculo di un pesce femmina che basta a se stesso), della madre, del padre e della stessa Sara – il che, sebbene sia solo un espediente narrativo (ben reso dai cambi di luce e dalla vocalità della Carloni), per variare ritmo e punti di vista della storia, va tuttavia a braccetto con uno dei temi centrali della piéce: la facilità con cui Pina si allontana dalla sua prima e ormai quasi residuale identità, per rifugiarsi nell’altra, socialmente meno riprovevole. Prezzo amaro da pagare, se è vero che, sottrattoci tutto, ciò che ci resta non è che la nostra identità.