Un prezioso tentativo di Pippo Delbono per leggere la contemporaneità attraverso gli stilemi della commedia e della tragedia, del melodramma o dell’opera, come anche nell’ultima creazione di Romeo Castellucci, The Four season restaurant.
Dove: Teatro Argenina
Quando: 7-19 Gennaio 2014
Info: Orchidee
uno spettacolo di Pippo Delbono
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella.
immagini Pippo Delbono
musiche Enzo Avitabile
Canzoni e sonorità di Enzo Avitabile e versi tratti da alcune delle tragedie più famose di Shakespeare, questo è lo spettacolo. Video e immagini sullo sfondo. Presenze umane mascherate o in costume. Un uomo in sala distribuisce pasticcini. Pippo (Delbono), come si autonomina parlando dalla regia da un microfono, introduce la sua indagine narrativa, raccontandoci, episodi della sua vita legati alla recente scomparsa della madre. Chiacchiera, svela il segreto della morte della mamma. Ci racconta che filma i cimiteri, i manichini, i vivi e i morti, fotografa i fiori, le foto e filma anche la madre che se ne va. Nel tentativo, mostruoso e struggente, di fermare le cose che amiamo, le persone che amiamo, il tempo, «che ci sfugge». La luce si abbassa, lo sfogo finisce (o inizia) e iniziano a scorrere sequenze video:
La religione, e le sue cerimonie.
La politica, e le sue cerimonie.
La televisione, e le sue cerimonie.
Pippo (Delbono) sale sul palco, scimmiotta un ballo, mostra il deretano, ci mette la faccia e il palco diventa pista per ballare una danza irriverente verso il sudiciume sociale che ci ha mostrato attraverso ciò che ha proiettato finora: «Lo schifo».
Quello che succede in scena non ha alcuna importanza, è pressoché inconsistente. Tra citazioni di Pina Bausch e balletti da varietà decò, improbabili presentatori televisivi, Pippo (Delbono) sparge nella scena figure umane che compiono un rituale per la morte della sincerità. Lo spettacolo è la narrazione di Pippo (Delbono), la sua voce, la sua interpretazione, ora graffiata, ora suadente, ironica, buffa, seriosa, seria, coinvolta. Con momenti lirici: la traduzione al buio di Child in time dei Deep Purple, mentre racconta di amici brigatisti, di comunisti ortodossi, cita frasi della mamma, fervente anticomunista e raffinata cattolica, «visionari, matti allo stesso modo». Pippo (Delbono) torna sul palco. Balla, come un antico primate ma il pubblico di questa domenica resta piuttosto indifferente rispetto alla forma accusatoria, presente in molte parti dello spettacolo, verso l’uccisione della bellezza. Denunce che molti non sentono come proprie, perche non le conoscono, perché ognuno ha la vita che è, mentre la giovinezza, ormai grande assente dai grandi teatri, ha già acquisito tale consapevolezza ed è passata oltre l’ostacolo del rimprovero. Il teatro ci sembra sempre un po’ in ritardo rispetto alle altre arti nell’analisi del contemporaneo e spesso cerca un compromesso cronoculturale che, nella musica (la nuova scuola cantautorale italiana) nel cinema (Costanzo e Mc Queen), nelle arti figurative (Vezzoli), nella letteratura (De Lillo), non c’è. Tra citazioni di Hume, Kafka, Stendhal, Pound, Shakespeare, Alighieri, Wilde, Neruda, Rodari, arriviamo allo svelamento del titolo Orchidee. Nasce da un dialogo avvenuto tra due signore, in cui una è solita acquistare due orchidee e metterle nello stesso vaso, per vedere chi, tra le persone che vanno a trovarla, saprebbe riconoscerla. E così Pippo (Delbono) si prende un po’ in giro nella sua metodologia lavorativa, che spazza via i personaggi e cerca la vita reale che è più interessante e vera della rappresentazione. Insiste sul tema della bellezza «bisognerebbe aprirsi al mondo in bellezza e chiudersi in segreto, come le orchidee». La narrazione diventa più intima, privata ma non per questo meno universale. Ognuno, su questa terra è universale. L’universale è in ognuno di noi, nel particolare, perché il particolare, conoscendo se stesso e conoscendo gli altri, diventa universale. Particolare e universale sono inscindibili. Se c’è la conoscenza. Questo spettacolo è un altro passo verso la conoscenza. Ogni opera d’arte, ogni cosa prodotta con puro amore non è altro che un’indagine intima per diventare più intelligenti, sensibili, comprensivi, liberi e pieni di sé e degli altri.
L’infanzia, i ricordi, la famiglia, la memoria, la morte, la bellezza. Temi universali e particolari. Lo spettacolo continua a parlarne come può, a tratti sublime a tratti noioso, poetico, grezzo e leggermente divulgativo come impianto. Come la vita però. Il coraggio dell’arte è nel cammino, nel fare le cose, nel provarci a farle al meglio delle proprie possibilità. Ormai siamo in viaggio, «ci attende la morte», cerchiamo la bellezza quanto più possibile. Cerchiamo «un mondo tutto nostro diverso da quello che ci forniscono il genitore, la politica la società, un mondo, forse più reale della stessa realtà, anche se di sogno».
Siamo salvi se facciamo i buffoni ma solo per quello. Seriamente, conoscendo tutto, siamo tragicamente fuori dal tempo e dalla storia perché la storia è quantità e non qualità, come le orchidee che sono poche e rare. D’altronde questa è la tragedia. Il giorno che la qualità, l’arte, possiederanno il mondo, ci sarà il paradiso. La devastazione e la solitudine che vivono gli artisti non la auguriamo a nessuno. Restate così: brutti e codardi, abitudinari e viziati, che vivete meglio. Essere o non essere?
La mamma morente, in video, parla d’amore e di gioia. La paura del corpo che scompare. Mani che carezzano mani, mentre i versi di Shakespeare che narrano la morte di Ofelia chiudono un altro finale. Come questa recensione, dai molti finali ma solo perché ogni fine permette un nuovo inizio, una nuova vita. «Meglio andarsene quando non capiamo più niente di questo mondo».
Contro l’amore nulla può, nemmeno l’odio, perché amore ama anche quello e lo rende innocuo.