PLAY | Digital Life 2014

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Digital Life 2014
Roma, La Pelanda – MACRO in Piazza Giustiniani 4 
Fino al 30/11 da martedì a domenica dalle 16.00 alle 22.00
 

Le dieci opere in mostra costruiscono un percorso di esibizione sfacciata del rapporto intimo e di mutua influenza che si è instaurato tra arte e scienza nel corso della lunga e oscura storia umana, prendendo però decisamente partito per la componente tecnologica. Questa presa di posizione vuole consapevolmente mettere l’accento sull’aspetto interattivo, sulla capacità dello spettatore di formare una collettività intorno a un oggetto – l’opera d’arte – che diverrebbe così grimaldello rituale per una catartica nuova ma temporanea prossimità sociale.

Di fatto, il livello di interattività richiesto non è poi così rivoluzionario, e ognuno è solo sul cuor della terra ogni qual volta “gioca” con un oggetto esposto. E’ difficile poi interrogarsi sul significato dei risultati volatili di un’interazione così programmata. Ma in realtà, non abbiamo alcun bisogno di porci come agenti davanti al mondo e scopritori di nuove possibilità manipolando opere d’arte sulla base di opzioni previste dagli artisti: siamo perfettamente attivi, in quanto spettatori attenti, già all’interno di una sala cinematografica, in una situazione di semi-immobilità in cui possiamo al massimo interagire con la nostra scatola di pop-corn, ma siamo liberi.

Fatte le dovute premesse, l’esposizione alla Pelanda è un’interessante showcase di cosa, oggi, siamo in grado di fare con la tecnologia. Possiamo costruire oggetti positivi, che portano gioia nel mondo invece di promesse di distruzione di massa. Possiamo costruire, addirittura, giganti strumenti musicali, come L’Arpa di Luce del musicista Pietro Pirelli e l’ingegnere Gianpientro Grossi, in cui il gioco tra un pendolo luminoso e undici fasci di raggi laser trasformano un’intera stanza in una cassa di risonanza dall’aspetto magico.

Tecnologia significa anche trovare un modo per riutilizzare, riattualizzare, oggetti ormai obsoleti o di scarto. In questo ordine di idee può essere letta Métier à tisser musical di Kingsley NG, in cui un antico telatio è trasformato in un complesso strumento interattivo in grado di modulare suoni e luci. Molto lontana dall’aspetto ludico ma comunque improntata a questa idea di recupero è 108 di Heewon Lee, che ci propone un film tipografico: su uno schermo blu, ad ogni nota suonata da un piccolo carillion, volano delle lettere bianche che, in varie lingue, ci raccontano storie di abbandono di bambini orfani, invisibili. L’aspetto fragile e incerto dei carillion, la musica da loro prodotta, dissonante e spezzata, sul punto di sparire, gioca con queste lettere che volano andando a costruire storie di dolore e miseria. Lo schermo blu, così vergato di bianco, è uno squarcio nel discorso presente e l’apertura dello spazio ai dimenticati che trovano voce, abbandonando le immagini patetiche dei documentari classici.

Ma tecnologia significa anche, e forse in maniera più emblematica, protesi e intelligenza artificiale. E’, in qualche modo, il mito di Vaucanson, “il meccanico di genio”, che trova nuova linfa vitale nell’Orchestra Stocastica di Donato Piccolo che, da titolo, costruisce una sinfonia con oggetti comuni e triviali. L’eleganza del rumore è probabilmente trasmessa dai meccanismi che riproducono comuni azioni basilari eseguibili da un corpo umano, vere e proprie protesi che, dislocate in campo artistico, aprono alla contaminazione senza limiti che potrebbe segnare evoluzioni future dell’umano e segnano come pietre miliari un risultato imponente e evocativo di quella qualità proteica che, quando non sepolta o soffocata dalla legge del profitto, costituisce il tratto migliore di questo strano animale che chiamiamo “umano”.

In questo ambito di oggetti e in questo ordine di idee, l’apoteosi è raggiunta dalla scultura cinetica Cycloïd-e, del duo Cod.Act. Cinque grossi tubi metallici fissati tra loro alla base roteano in una danza sincronizzata ai suoni che emettono attraverso degli speaker nascosti al loro interno. Il movimento di roteazione è fluido, armonioso, estremamente naturale, ma il suono che sembra nascere dalla viscere della terra e i particolari cambi di velocità esaltano l’artificiosità dell’insieme, resistutendo un’iponotica e intossicante sensazione di uneimlich. Tutto il corpo umano è reso obsoleto in questo movimento di immensa bellezza che porta iscritto in sè il passato e il futuro, e le bocche dei tubi, da cui si spande la musica, assomigliano liberatoriamente al beccuccio della macchina scrematrice nell’inquietante primo piano di La linea generale (Sergei Eisenstein, 1929) e l’angoscia del frammento è soppiantata, nella concatenazione degli elementi di cui questa macchina è emblema, dalla completezza del senso, dalla speranza in un futuro diverso.

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Autore

Giulia Belloni

« Art et politique tiennent l'un à l'autre comme formes de dissensus, opérations de reconfiguration de l'éxperience commune du sensible» Jacques Rancière, Le spectatuer émancipé (2008).

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