L’eco di una coscienza antica si riflette nella mostra Post Classici, una rassegna espositiva che si colloca all’interno di uno scenario molto suggestivo come il Foro Romano e Palatino, capace di stabilire un dialogo evocativo tra la sacralità antica e l’avanguardia contemporanea.
Artisti: Andrea Aquilanti, Marisa Albanese, Alis/Filliol, Francesco Barocco, Vanessa Beecroft, Antonio Biasiucci, Gregorio Botta, Gianluigi Colin, Mimmo Jodice, Jannis Kounellis, Nino Longobardi, Mimmo Paladino, Giulio Paolini, Claudio Parmiggiani, Roberto Pietrosanti, Michelangelo Pistoletto, ZimmerFrei.
Titolo: Post classici – la ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana
@ Foro Romano e Palatino, Roma
fino al 29 sttembre 2013
In foto: Claudio Parmiggiani, Senza Titolo, 1970, calci in gesso, stracci, terracotta, pigmenti, farfalla.
Le opere dei 17 artisti chiamati al confronto da Vincenzo Trione, curatore della mostra, si collocano in un contesto celebrativo e si svelano durante tutto il percorso archeologico, tra i resti imperiali e i frammenti di arte antica, in un distillato della memoria che riesce ad attingere ad un archivio di icone e simboli comuni. L’antico quindi si rinnova attraverso una forza espressiva ed emozionale creata dai dettami moderni, mossa dalla nostalgia della bellezza, dell’armonia e della perfezione in una ricerca sempre attuale dell’eterno presente. I luoghi della classicità divengono dunque dimore di valori metafisici da riabitare, scrigni da dischiudere ancora, all’interno dei quali la creatività si genera nella memoria rinnovandosi nei ricordi di una eterna madre comune: l’arte.
Gli artisti presenti nella mostra Post Classici non seguono un percorso storicamente lineare, il progredire delle loro opere segue un intreccio di fughe e ritorni orientato verso il passato, che come una spirale avvolge il presente realizzando così un ponte utopico sul tempo. Vediamo come l’emulazione di colonne antiche attraverso il calco in gesso per Paolini rappresenti l’incarnazione del distacco dall’originale, quindi una separazione che genera energia creativa coinvolgendo autore e spettatore in un contesto che enfatizza questo dualismo. Il Tempio di Romolo infatti accoglie due delle opere di Giulio Paolini, Tebe e Senza più titolo (22052013) che rimandano ad un concetto stratigrafico del tempo frammentato e rinchiuso in una teca di plexiglass che, come afferma l’artista stesso: «Dall’esplosione dei frammenti dà vita a l’implosione della geometria».
La caducità della materia è indagata anche da Roberto Pietrosanti che dispone una serie di colonne all’interno di Vigna Barberini, dei pilastri realizzati in lamiere di ferro zincato e patinato, private della funzione di sostegno, sottolineandone così la dimensione temporale di un tempio che continua a vivere come semplice reperto. Il confronto con l’antico si snoda tra Foro Romano e Palatino, toccando il Tempio di Venere e Roma e restituendo ai visitatori lo Stadio Palatino, che riapre al pubblico dopo molti anni in seguito a interventi di restauro. I temi della classicità vengono così reinventati e resi a volte addirittura irriconoscibili: la materia senza volto acquisisce dunque immortalità attraverso la storia e, nel caso della serie di opere di Mimmo Jodice Anamnesi, attraverso la fotografia, scatti che posti in dialogo con la collezione del Museo Palatino colgono la dimensione atemporale della statuaria antica e delle rovine celebrandone la continuità.
La mostra documenta l’impegno di grandi maestri italiani, dai protagonisti dell’arte povera Kounellis, Pistoletto e il già citato Paolini, al maestro della transavanguardia Paladino o a figure isolate come Parmiggiani, Longobardi, Albanese, chiamati a ripercorrere il labirinto della storia dell’arte; reinventandola, attraverso delle opere realizzate quasi tutte per questa occasione, in chiave corrente, a volte quasi onirica, sottolineando l’identità e l’appartenenza ad un patrimonio storico rivelatosi inaspettatamente contemporaneo.