Prima del vulcano (manuale di sopravvivenza per un giovane orfano)

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In scena il 13 e il 14 giugno al Teatro Argot Luca di Giovanni con Prima del vulcano (manuale di sopravvivenza per un giovane orfano). Beffa tragicomica di un giovane orfano narrata con intima esplosività a diretto contatto con il pubblico: come non si fosse realmente a teatro.

 

Prima del vulcano

Regia e drammaturgia: Luca Di Giovanni

Interpretato da: Luca Di Giovanni

Musiche originali: Augusto Pallocca & Fire Flowerz

Vai al video dello spettacolo su E-performance

Quando: 13 e 14 giugno 2013

Dove: Teatro Argot, Roma

Tante cravatte al collo di Luca Di Giovanni, che interpreta il protagonista di Prima del vulcano (manuale di sopravvivenza per un giovane orfano), e un vestito nero elegante, al funerale dei genitori. Rosse, gialle, variopinte, tutte attorno al collo, un enorme collo pieno di spigoli e nodi da ingoiare, senza riuscire a respirare.

Chi è mai pronto per la morte dei propri genitori? Come può un ragazzo di trent’anni rimanere orfano con un fratello di otto anni da crescere e sentirsene all’altezza, sentirsi pronto, deciso? Non può, non è deciso, nemmeno su quale cravatta mettere al funerale. Un tentativo di afferrare il panico e scaraventarlo via, correre al volante della propria auto e tirarlo fuori dal finestrino, mentre un grido disperato fa lo slalom tra i sogni deliranti di un viaggio intorno al mondo e la realtà gorgheggiata dalle parole del tuo fratellino. La confusione di un ragazzo che si sente inadeguato alla vita e ai suoi eroici sogni di celebrità si riflette nelle voci che sunteggiano la trama, un poco sconvolta e magari sconvolgente, perché la morte ci sorprende. Un’incertezza esistenziale alla Dave Eggers, la voglia di fuga, come togliersi la cravatta e gettarla a terra con disprezzo, nel vortice di una vertigine di un salto al quale si è costretti.

Un pubblico che si aspetti di essere solo spettatore davanti a Luca Di Giovanni sarà colto da imbarazzo e stupore, perché questa drammaturgia non presuppone scena né platea né teatro; questa drammaturgia è un racconto intimo e amichevole, diretto, il parossismo della partecipazione. Luca Di Giovanni ci racconta una storia seduto su una sedia e noi ascoltiamo: poco importa se la cornice è il Teatro Argot.

I riflettori scandiscono la diversa luce sotto la quale il protagonista guarda gli eventi, una narrazione presente posta sotto la luce di un occhio posteriore. E siccome a far piangere son buoni tutti, così si dice, pur nella tragedia Di Giovanni tenta di far ridere in un dialogo-monologo che non ha paura di alzare la voce, di urlare disgrazie e ripetersi in umane vanità a cui porta il dolore, lo smarrimento, la claustrofobia di una realtà troppo piena, quando sopraggiunge il vuoto.

Eppure, egli dice, chi non ha mai desiderato, ognuno con la propria motivazione, almeno una volta, che i propri genitori morissero? Tutti abbiamo desiderato quel vuoto troppo pieno, forse per convincerci che è obbligatorio crescere, anche se traumatico, forse per avere un motivo per convocare tutti i conoscenti davanti a una bara e farsi riconoscere con un bacio e un abbraccio la povertà della quale si è vittima quando si ha tanto di quello che ci è dato e, per questo, non si va a prendere quello che realmente si vorrebbe.

Luca Di Giovanni ci lascia con un interrogativo: ciò che si vorrebbe, cos’è? Lui, forse, voleva solo togliersi le sue mille cravatte e baciare una per una le persone del pubblico in t-shirt. Che si stupiscano e s‘imbarazzino pure i più rigidi, lui li bacerà lo stesso.

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Redazione

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