La prochaine foise je viserai le coeur, di C. Anger, Fra 2014, 111′
Produzione: Mars Distribution
@ Festival Internazionale del Film di Roma
Freddo, calcolatore, metodico, consapevole, razionale. È questo il ritratto di Franck Neurath, apprezzato gendarme del dipartimento dell’Oise sulle tracce, insieme ai suoi colleghi, di un serial killer che uccide donne… sulle tracce, insieme ai suoi colleghi, di se stesso.
Basato sulla vera storia di Alan Lamare ma con inserti d’immaginazione come ci spiega l’incipit, La prochaine fois je viserai le coeur è un film che non lascia spazio ad alcuna possibilità di redenzione: Franck vive di dure prove fisiche – il metodo –, di analisi dettagliate – il calcolo –, di sfide – le lettere inviate alle forze dell’ordine – di un’istantanea bellezza – la visione dei cervi insieme ai colleghi la notte prima di essere arrestato. Tuttavia, nonostante riesca a sfuggire alla caccia, le prove contro di lui cominciano a essere schiaccianti. Le sue relazioni nei confronti degli altri, e in special modo le donne, sono negate in un crescere di accentuata misoginia, mentre la sua presunta omosessualità viene svelata, per merito del regista, piano piano, come un dubbio che attanaglia il protagonista e noi. I colpi di pistola al cuore con i quali uccide le sue vittime oltrepassano l’odio costituendo una sorta di male ancor più radicale: la castrazione del sentimento, insieme autolesionista e assassino, di cui abbiamo un perfetto esempio in una scena particolare. Franck è nella foresta insieme al fratellino, punta il fucile verso la mdp e spara uno, due, tre colpi oltre di essa, come se essi fossero diretti verso la platea degli spettatori mostrando, al tempo stesso, la necessità dettata dal suo quadro psicopatologico e la contingenza della vittima prescelta.
Cédric Anger dopo le due prime inquadrature lunghe che ci trasportano in media res, fa prendere respiro al suo noir con un montaggio in cui da padrone la fanno gli interni delle automobili prese a noleggio da Franck, come se ci trovassimo in un moderno Taxi Driver incapace di offrire una possibilità di riscatto – interessante che durante il film ci sia un solo “momento poetico”, ovvero un campo lunghissimo di un tramonto dopo una incredibile fuga. Dopo il palpitare della prima parte, il regista diminuisce la suspense e concede alla sua opera un ritmo più compassato, necessario per portarla a conclusione. La caratterizzazione del quadro psichiatrico di Franck travalica qualsiasi inutile ingiunzione didascalica delineandosi attraverso le immagini e la bravura di Guillaume Canet, davvero abile nel restituire un personaggio esteriormente sprezzante. La sua doppia identità più che essere dettata da cambiamenti umorali è mostrata attraverso il suo abbigliamento: il gendarme Franck è uguale al cittadino Franck, interiormente inaccessibile.
La mdp che all’inizio del film, attraverso un breve long take, ci aveva mostrato un perfetto ordine all’interno della casa, nel finale ce la riporta immersa nel caos. Quella che era lucida freddezza si è rovesciata in un disperato e silenzioso delirio di un ego solitario incapace di chiedere aiuto.
1 commento
qualche spoiler in meno, magari…giusto per chi era solo in cerca di un giudizio senza svelamenti sulla dinamica dell’opera