PROVE APERTE D’INFELICITÀ

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Anna Karenina, sul palco dell’India, vive in un isolamento ancor più straziante di quello impostole da Lev Tolstoj nel suo discusso romanzo. Neanche un barlume di calore umano riesce a mitigare le sue pene. Levin e Kitty, Stiva e Dolly, l’adorato figlio Serëža non hanno spazio nel suo monologo. Le figure essenziali che generano il dramma – l’alta società di San Pietroburgo e l’amante Vronskij – vengono appena citate per dovere di contestualizzazione. Vera protagonista è la follia, che raschia brutalmente ogni tratto di dolcezza nell’abile interprete Sonia Bergamasco. La sua voce, infatti, è accesa di dolore e risentimento; i suoi gesti sono estremi, esasperati, tutt’altro che composti.

Tutto ha inizio dal nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico. L’intuizione geniale degli autori – la Bergamasco stessa ed Emanuele Trevi, aiutati dalla regia di Giuseppe Bertolucci – è stata quella di far scaturire l’azione dalla sua fonte originaria: la mente dello scrittore. Più che una mera trama, infatti, sono le diverse versioni del romanzo a prendere forma sulla scena e, con esse, tutti i dubbi, i ripensamenti e le riflessioni che hanno accompagnato Tolstoj sin dal concepimento dell’opera.

Lo stesso incedere, a volte titubante e stentato, perplesso e intermittente, del drammatico assolo della protagonista riflette un processo in fieri. La storia viene scritta sul palco.

Assistiamo a un processo generatore che rende i supplizi interiori di questo agnello del sacrificio ancora più difficili da metabolizzare. Per coinvolgere appieno lo spettatore in questi lavori in corso, si parte proprio dalla descrizione di quell’inesorabile fatto di cronaca, avvenuto il 4 gennaio 1872, che ha ispirato la tragica fine della Karenina: il suicidio di Anna Stepanovna Pirogova nella stazione ferroviaria di Jasenki, sulla tratta Mosca-Kursk.

Il compito dell’autore diventa, da questo momento in poi, quello di rendere una donna abbandonata degna di pietà e non colpevole. Non nascondere il proprio desiderio: questo è il suicidio in una società ipocrita e bigotta come quella russa di fine Ottocento. Questa colpa non merita altro che la pena capitale, inflitta o auto-inflitta. L’unica preoccupazione dell’élite è quella di evitare un comportamento spiacevolmente grossolano, sconveniente e vergognoso. Accettabile l’amante, ma relegato nel segreto di una squallida tresca. La maldicenza, seppur carente di prove, lascia tracce indelebili nell’animo umano. E’ un tritacarne educato che si alimenta da sé, incessantemente.

L’acme della tragedia di Anna nasce dall’intuizione dell’allontanamento di Vronskij. La sola cosa che li teneva insieme erano i loro vincoli animali. Anna lo sapeva e fremeva all’idea di perderlo. Si arriva al puro delirio e l’angoscia lascia senza fiato. La Karenina percepisce l’abisso e non controlla più il flusso dei suoi pensieri. E se non venisse? Forse ha fatto tardi il treno. Perderò tutto. Cosa cercava in me? Non tanto l’amore, ma l’appagamento della sua vanità. Prova a distrarsi dalla pazzia osservando e commentando particolari insignificanti del mondo circostante, ma ormai respira solo morte.

Il segno della croce prima del suicidio offre qualche stralcio di dolcezza in una vicenda tanto amara. Quel gesto usuale, un tempo abitudinario, ha il potere di rievocarle gioie passate, confortanti sensazioni dimenticate.

Sintesi estrema di un dramma, rielaborazione originale, intelligente gioco di luci. Opera coinvolgente e ben riuscita.

KARENINA

Prove aperte d’infelicità

Da Lev Tolstoj

Di e con Sonia Bergamasco e Emanuele Trevi

Regia Giuseppe Bertolucci

10-14 aprile 2012

Teatro India – Roma

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Webmaster - Redattore Cinema

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