Difficile eredità quella lasciata da Tennesse Williams. Tanto più difficile, da quando Kazan e la Hollywood di Marlon Brando e Vivan Leigh l’hanno resa aurea. Un tram che si chiama desiderio è a tutti gli effetti un classico e, con i suoi precedenti tra teatro e cinema, rappresenta per forza di cose un rischio: una sorta di scommessa tra la scelta dell’emulativo didascalico e l’azzardo creativo che ne rivisiti e ne reinterpreti le forme.
Antonio Latella decide di giocare con una voce narrante, un ribaltamento tra inizio e fine e un’atmosfera nuova, senza disturbare. In una scenografia ardita, provocatoria, condita di fari accesi ed elementi minimalisti, la psicosi e il dramma della storia non ne risultano intaccati. Blanche Dubois, si trasferisce dalla sorella a New Orleans, portando con sé le ombre di un passato scabroso. Il cognato violento entra in conflitto con lei, scatenando un’interazione a domino che arriva fino all’epilogo.
Si coglie bene la follia nervosa e degradata dei tre personaggi, schiavi dei loro caratteri, drammaticamente destinati a stabilirne gli esiti.
C’è un buon ritmo, tra isterismi, derive, eccessi e urla, senza mai cali di tensione. Le luci sparate dal palco e quelle accese in sala aumentano la condivisione del disagio, dell’equilibrio precario, linea guida del soggetto originale. Ne aumentano l’effetto gli sbalzi di volume, che trasformano l’accompagnamento musicale in un’ossessione latente, sempre pronta a irrompere, sconvolgere, agitare.
Decisamente creativo l’approccio di Latella, sostenuto nei passaggi più difficili dal carisma della pièce e dai retaggi che richiama in continuazione. Incuriosisce, provoca, trascina, a tratti perfino diverte. Nelle tre ore di messa in scena, non manca quasi nulla.
Unica assente vera, è l’atmosfera Dixie, arteria centrale del lavoro di Williams. Non arriva l’alone sudato tanto caro al Nouveau Roman francese. Quella sottile linea che unisce la Duras, Robbe Grillet e la Francia stanca di fine età coloniale, alle camicie madide della Lousiana degli anni ‘50. Non si avverte molto il clima decadente di lignaggio francese, fatto di alcool, di case di legno, di poltrone in vimini alla periferia del mondo. Passa poco Sud ed è il probabile prezzo da pagare per una rivisitazione coraggiosa, moderna, sospesa, più rock che blues, ma sicuramente degna e ben pensata.
Bravi gli attori, molto incisivi in una corsa così impegnativa, tra i cui ostacoli annovera anche un pubblico non sempre all’altezza.
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO di Tennessee Williams traduzione Masolino D’Amico regia Antonio Latella con Laura Marinoni, Vinicio Marchioni, Elisabetta Valgoi, Giuseppe Lanino, Annibale Pavone, Rosario Tedesco scena Annelisa Zaccheria costumi Fabio Sonnino luci Robert John Resteghini suono Franco Visioli assistente alla regia Brunella Giolivo foto di scena Brunella Giolivo Un tram che si chiama desiderio viene presentato per gentile concessione della University of the South, Sewanee, Tennessee 28 febbraio-11 marzo 2012, Teatro Argentina – Roma