The Darjeeling Limited, USA, 2007
Durata 91’
RegiaWes Anderson,
SceneggiaturaWes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman
MontaggioAndrew Weisblum
FotografiaRobert D. Yeoman
ProduttoreWes Anderson, Scott Rudin, Roman Coppola, Lydia Dean Pilcher, Alice Bamford, Jeremy Dawson, AnadilHossain
Interpreti Owen Wilson (Francis Whitman), AdrienBrody (Peter Whitman), Jason Schwartzman (Jack Whitman), Anjelica Huston (Patricia Whitman), Amara Karan (Rita), Bill Murray (uomo d’affari).
Casa di produzione Fox SearchlightPictures
Riconoscimenti Leoncino d’oro alla 64° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia
Che cosa sono gli oggetti? Domanda apparentemente sciocca. Ne siamo circondati quotidianamente, fanno parte del nostro modo di relazionarci al mondo, a volte come utilizzabili, altre volte, come nel caso di questo film, come simboli di assenze. Il tentativo di superare la morte del padre è il tema centrale del film, raccontato secondo il modello ironico al quale WesAnderson ci ha abituato. Il rapporto feticistico con gli oggetti, che simboleggiano la figura paterna, si dispiega nell’universo ristretto e di convivenza forzata dei protagonisti rappresentato dal treno. Oggetti che hanno perso ogni tipo di utilizzabilità, degli occhiali con lenti graduate, delle chiavi che probabilmente non aprono più nulla, un rasoio ormai troppo vecchio per essere usato e che al massimo provoca ferite e, infine, delle valige -decisamente inadatte per un viaggio di questo tipo- firmate Louis Vuitton.
Tre fratelli Francis, Peter e Jack a seguito della morte del padre decidono di intraprendere un viaggio su un treno che attraversa l’India. Come nei Tenenbaum il regista affronta le tematiche familiari come la perdita del padre, il rapporto con la sfuggente figura materna e, soprattutto, il conflitto fra fratelli -che forse non vogliono ammettere di conoscersi fin troppo bene-. È finalmente arrivato il momento di mettere definitivamente in ridicolo l’ideale del “fighetto” borghese americano. I protagonisti sono descritti come dei cliché “viventi”, si pensi, per esempio, all’illusione che basta frequentare posti con valenza spirituale per avere una crescita interiore. Testimonianza di questo è la scena dove ingaggiano un litigio all’interno di un luogo di culto, confermando la loro incapacità strutturale ad una dimensione riflessiva.
Sarà solo attraverso l’incontro diretto con la morte che i nostri personaggi sfrutteranno l’opportunità di maturare culturalmente e spiritualmente. La scena fondamentale del film è rappresentatadal tentativo dei protagonisti di salvare dall’annegamento tre ragazzi indiani. I tre riescono a salvarne solo due, il terzo, infatti, muore, nonostante gli sforzi, cadendo da una cascata. La loro presenza al funerale del ragazzo funge da contraltare alla loro assenza a quello del padre. Sono questi i passaggi, enfatizzati dai rallenti, ormai classici dello stile andersoniano, nei quali i tre protagonisti raggiungono finalmente la consapevolezza della loro perdita. La loro definitiva maturità è evidenziata,inoltre, dal rallenti finale. I personaggi corrono e, per riuscire a prendere il treno di ritorno, abbandonano le valige che erano del padre, definitiva catarsi da questa assenza irrisolta.Una delle dimensioni ironiche più interessanti del film è la messa in mostra dell’ovvia contraddizione fra un modello mitopoietico dell’uomo bianco americano, che vede nell’India uno dei maggiori territori con una fortissima spiritualità, e la colonizzazione culturale dei missionari cattolici e bianchi sulle pendici dell’Himalaya.
Il treno diventa allora metafora della vita, come esprime molto bene uno degli ultimi piani sequenza del film, dove tutti i vagoni si trasformano in scene di vita quotidiana. Riconsiderando poi la scena alla luce della storia, è facile intuire come il vero viaggio non è quello che i personaggi compiono nel mondo esterno (che può fungere, al limite, come pretesto) ma quello condotto nel loro percorso interiore.
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