RUSTEGHI. I nemici della civiltà
da I Rusteghi di Carlo Goldoni (trad. e adatt. Di Gabriele Vacis e Antonia Spaliviero)
regia Gabriele Vacis
con Eugenio Allegri, Mirko Artuso, Natalino Balasso, Jurij Ferrini
e con Nicola Bremer, Christian Burruano, Alessandro Marini, Daniele Marmi
composizione scene, costumi, luci e scenofonia Roberto Tarasco
dall’8 al 20 Maggio 2012
Teatro Quirino – Roma
Mentre gli spettatori prendono posto in sala, il sipario aperto mostra la scenografia che Roberto Tarasco ha ideato per la rivisitazione di I Rusteghi di Goldoni: una serie di mobili incellofanati e accatastati distrattamente ai lati del palco. Lentamente gli attori si raggruppano sulla scena, senza che le luci siano calate: indossano tute da ginnastica, chiacchierano, commentano quanto avviene in platea. Questo il primissimo impatto voluto da Gabriele Vacis: la sorpresa; la sorpresa per un atteggiamento inusuale del cast artistico; la sorpresa per il dialetto veneziano – in cui fu scritta l’opera, e mantenuto dal regista – incomprensibile a un pubblico romano; la sorpresa per l’estrema attualità che il testo rivela.
I “rusteghi goldoniani sono degli zotici, degli incivili, dei ricchi borghesi che tiranneggiano su mogli e figli, impedendo ogni sorta di svago o libertà.; Costruiti sul modello del moralista e ottuso Pantalone – celebre maschera della commedia dell’arte – i tangheri vengono scherniti dalle loro mogli che, esauste di tanta repressione, sono finalmente guidate alla ribellione.
Sapientemente, dopo la sorpresa, Vacis passa alla provocazione: il veneziano stretto usato dagli attori, nei sopratitoli viene tradotto nelle lingue di diverse minoranze culturali che abitano la penisola, ma non in italiano. Gli attori – tutti uomini – interpretano sia i ruoli maschili che quelli femminili, quasi a voler mettere l’uomo nella condizione per lui inedita di chi ha bisogno di riconoscersi e tutelarsi in quanto genere. Tra una scena e l’altra gli interpreti si relazionano tra loro non in quanto personaggi, ma in quanto attori: ammiccano al pubblico, muovono la scenografia a sipario aperto e non vanno dietro le quinte per cambiarsi d’abito, rompendo in tal modo l’illusione dello spettatore e dell’individuo. È inoltre riscontrabile un fitto simbolismo più o meno astratto, come ad esempio le tipiche maschere del carnevale veneziano trasformate in veli che coprono la testa e il volto, e che ricordano inevitabilmente i burqa.
Meravigliosa e appropriata la colonna sonora, che da Vivaldi giunge a Eddie Vedder e Lily Allen; ottimo il lavoro di tutti gli attori – è d’obbligo una menzione particolare a Jurij Ferrini, superlativo. Acutissima la regia di Vacis, che riesce a mutare in denuncia l’inciviltà del motto dei rusteghi, «in casa mia, sono padrone io», in quanto dispositivo dell’intolleranza cieca e sorda di chi non è in grado di concepire niente che si distingua per diversità – sessuale, sociale, culturale.