Rafael Spregelburd, drammaturgo, regista, attore, traduttore e scrittore argentino di fama internazionale, ha condotto quest’anno la XXI edizione dell’Ecole des Maîtres, master internazionale di alta formazione per attori, fondato nel 1990 da Franco Quadri. La dimostrazione finale del lavoro Cellule teatrali: macchine per produrre catastrofi concluderà al Teatro India di Roma la rassegna Short Theatre.
21 settembre 2012, Teatro Argentina, Roma
La conferenza stampa del maestro argentino Rafael Spregelburd è permeata della memoria del critico teatrale, editore e organizzatore culturale Franco Quadri, che, ispirato da un suggerimento di Peter Stein, fonda nel 1990 l’Ecole des Maîtres e ne rimane direttore artistico fino alla morte, nel 2011. Il primo a parlare dell’amico Quadri con esplicita emozione nella Sala Squarzina del Teatro Argentina, in apertura, è Gabriele Lavia.
L’Ecole des Maîtres è un master internazionale di alta formazione teatrale, strutturato in forma itinerante in diversi paesi europei, e raggiunge quest’anno la sua ventunesima edizione. La figura insostituibile di Franco Quadri lascia un’eredità viva, che viene raccolta e rispettata nelle sue linee guida in questa nuova edizione dai partner europei del progetto – CSS Teatro stabile di innovazione del FVG (Italia), Centre de Recherche et d’Expérimentation en Pédagogie Artistique (Belgio), Teatro Académico de Gil Vicente (Portogallo), La Comédie de Reims, Centre Dramatique National (Francia) – con il sostegno di MIBAC Direzione Generale Spettacolo dal vivo e della Regione Friuli Venezia Giulia e con la partecipazione italiana dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio D’Amico’, di Area 06 e di Teatro di Roma.
Anche nel 2012 l’Ecole ha onorato il proprio appuntamento di riflessione esperienziale e di confronto sulle pratiche di scena, riunendo attori europei selezionati, provenienti da Francia, Italia, Belgio e Portogallo, quest’anno sollecitati nel lavoro dal maestro argentino Spraegelburd e dalla regista Manuela Cherubini, sua artista associata.
E’ proprio a partire dall’interculturalità del progetto che prende le mosse il lavoro del maestro Spregelburd. La sua riflessione si focalizza da una parte sull’illusione di un’Europa culturalmente unitaria – laddove, dice Spregelburd, la sola visibile unità europea è data dall’Euro e dalla legge economica – e, dall’altra, sulla centralità della parola crisi, che invade ora prepotentemente l’immaginario collettivo europeo. Solo nella crisi, finora scarsamente vissuta, l’Europa sembra trovare oggi una propria identità transnazionale. La crisi, un tempo appannaggio dei paesi del sud del mondo o in via di sviluppo, è arrivata nel Vecchio Continente. «Magari mi hanno chiamato [a dirigere quest’anno l’Ecole]perché sono Argentino», pensa Spregelburd, e gli Argentini, si sa, non riescono ad abituarsi alla stabilità delle cose.
In quanto straniero, e quindi ‘ignorante’, Spregelburd sostiene di essersi potuto permettere qualche forzatura forse ‘brutale’ nell’esplorare, creando associazioni tematiche azzardate, la collisione tra attori europei e un metodo di crisi-urgenza portato nel teatro. Il teatro europeo è anch’esso un’illusione, una forzatura, così come lo sarebbe un supposto teatro unico latinoamericano. Gli attori della scuola portano con sé differenze non solo legate ai diversi paesi d’origine, e quindi alla lingua parlata, ma anche derivanti dall’appartenenza a città diverse della stessa nazione. Una costruzione teatrale unica è impossibile. Quello che sarà presentato sulla scena non potrà essere chiamato a pieno titolo spettacolo. Sarà piuttosto un insieme di cellule teatrali vive, un lavoro caotico, un laboratorio vero, in cui gli attori sono stati parte integrante del processo di creazione della drammaturgia. Si è trattato di un lavoro basato sull’instabile, aggiunge Manuela Cherubini, in cui sono state accettate tutte le diversità, senza rinunciare a nulla. Tutto quanto emerso durante il laboratorio sarà presente sulla scena.
Nello sviluppo del lavoro da portare al pubblico, intitolato Cellule teatrali: macchine per produrre catastrofi, non c’è stato un intento politically correct, ma neppure una volontà di creare scandalo. Si è solo concesso spazio alla stranezza associata all’esistenza del mito Europa, alla crisi e, inscindibilmente, alla fine di tante cose, tra cui l’arte. «Non ho fiducia nei discorsi sulla fine», dice Spregelburd, «che sono miti che alimentano la speranza di sopravvivere alla morte». In fondo, si pensa sempre di sopravvivere alla fine. Anche l’Ecole des Maîtres, conclude scherzosamente, «potrà forse sopravvivere a me».