di Daria Deflorian, Antonio Tagliarini
con Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini
collaborazione al progetto Francesco Alberici, Monica Demuru
testo su Jack London Attilio Scarpellini
assistente alla regia Davide Grillo
disegno luci Gianni Staropoli
costumi Metella Raboni
costruzione delle scene Atelier du Théâtre de Vidy
produzione Sardegna Teatro, Teatro Metastasio di Prato, Emilia Romagna Teatro Fondazione Coproduzione Odéon – Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris, Romaeuropa Festival, Théâtre Vidy-Lausanne, Sao Luiz – Teatro Municipal de Lisboa, Festival Terres de Paroles, théâtre Garonne, scène européenne – Toulouse
24 novembre 2016, Teatro India, Roma
Alla coppia Antonio Tagliarini e Daria Deflorian il compito di chiudere questa fortunatissima edizione del Romaeuropa Festival, giunto al suo trentunesimo anno.
Il cielo non è un fondale è un racconto urbano fatto di memorie che quattro voci intrecciano fra loro, creando strade e svolte, incroci. Le parole riflettono le esistenze all’interno di luoghi familiari – o dove si può incontrare qualcosa di familiare –, nei quali si trova il proprio spazio intimo e di tepore silenzioso che permette di rilassarsi, contrapposto al rumore frenetico e a tratti violento della città.
Una messinscena estremamente semplice, una recitazione minimale e naturale, un testo equilibrato e profondamente ironico, capace di rendere extra-ordinario ogni piccolo appuntamento o “incidente” quotidiano, la possibilità di far diventare assurdo ogni trascorso umano e contemporaneamente di innalzarlo a situazione condivisa o condivisibile per la sua verità innegabile sono alcuni degli ingredienti che rendono questo lavoro firmato Tagliarini/Deflorian soave ed incantevole. Così, come quella sensazione di coccola piacevole che ricerchiamo in qualcosa che dà calore – e che porta ad uno stato di rilassata riflessività e contemplazione, che gode di calma e sensazione di sospesa serenità –, lo spettacolo avvolge e dona senso di familiarità alla sala gremita del Teatro India, che ascolta ritrovandosi in quelle piccole confessioni sulle proprie abitudini che si scontrano con la civiltà e le sue tempistiche schizoidi, a cui tutti almeno una volta ci siamo sentiti inadatti, in uno stato di completo sfasamento con il circostante.
La messinscena che il duo – in sodalizio artistico dal 2008 – propone alla chiusura del festival è un regalo, un canto dal colore cielo che parla delle possibilità che possiamo ritagliarci dedicandoci del tempo, coltivando il seme dell’aspettare e del lasciarsi incantare per quelle piccole dinamiche che sbocciano all’improvviso, forse senza motivo, e che hanno diritto di esistere e di metterci in una condizione di sovrappensiero sognante, difficile da riconoscere ma che ci accomuna inesorabilmente.