regia, coreografia Shana Carroll, Gypsy Snider
con Lucas Boutin, Mikael Bruyère-l’Abbé, Isis Clegg-Vinell, Yann Leblanc, Nathan Price, Song Enmeng
allenatore Francisco Cruz
design originale set e props Flavia Hevia
adattamento set e props, musica, tappeto sonoro Les 7 doigts
luci Nol van Genuchten
costumi Manon Desmarais
video Paul Ahad (MEDIA FX), André Biron (NEO6), Les 7 doigts
30 ottobre 2016, Auditorium della Conciliazione, Roma
Torna ospite al Romaeuropa festival 2016, dopo il successo di Cuisine & Confessions dell’anno scorso, Les 7 doigts, compagnia del Québec che ha contribuito a riscrivere il linguaggio circense avvalendosi delle contaminazioni di danza, teatro, acrobazia, impegno politico e urban culture. Una squadra con un obiettivo comune, un gruppo con una struttura flessibile costituita da figure di registi, coreografi e performer che insieme formano un solo corpo atto al medesimo scopo, come le cinque dita di una mano. L’espressione francese «les cinques doigts de la main» ha ispirato infatti il nome della compagnia ai sette membri fondatori, divenendo les sept doigts.
L’Auditorium della Conciliazione accoglie quest’anno lo spettacolo Traces: all’interno di una cornice drammaturgica nella quale viene menzionata una situazione di pericolo imminente dovuta ad una catastrofe politica, i sei protagonisti, all’interno del proprio rifugio urbano, si cimentano in una creazione collettiva fatta di rischio e sfida alle leggi fisiche.
Il pubblico viene accolto e a vista il palco mostra una scenografia composta di materiali di riciclo ricca di dettagli, in cui semafori appesi, pali di ferro, stracci, scaffali richiamano un luogo messo in piedi con quello che la strada ha da offrire.
Attraverso lo sforzo e le loro qualità performative i sei interpreti combattono le proprie ansie e i propri timori, formando una comunità che lotta contro le crescenti paure del presente, attraverso piccole gioie quotidiane e progetti futuri. E’ uno spazio protetto in cui raccogliersi per raccontare delle storie con le proprie capacità espressive, in cui nutrire la creatività attraverso l’altissima tecnica fisica, in cui vivere nuovi momenti d’intimità tramite l’interpretazione emotiva. Questa commistione crea all’interno del gruppo di giovani ventenni un nucleo di spensieratezza dove ridere e scherzare non è mai proibito, una fortezza per l’anima che torna ai ricordi dell’infanzia e ai giochi fatti in cortile, una nuova speranza che, attraverso le passioni tra gli esseri umani, possa far credere di cambiare il mondo.
Questi corpi tentano insieme di disegnare le linee guida dello spettacolo nella prima parte e ad amalgamarsi con l’ambiente intorno. Il pubblico viene subito investito da un’energia prorompente e gioviale. Tuttavia nel corso della performance si assiste ad un graduale decadimento della poesia: la drammaturgia risulta disomogenea, il tutto condito con la tendenza ad evidenziare guizzi di manierismo tecnico degli interpreti, fattore che ha esaltato la coreografia a scapito della regia. Ineccepibile la qualità acrobatica dei numeri singoli e di gruppo, ma questa fa tornare ad un’atmosfera da circo classico più che contemporaneo, nel quale si esalta l’elemento tecnico “mozzafiato” ben eseguito piuttosto che ricercare un’omogeneità degli stili in funzione della magia della storia, capace di colpire il cuore dello spettatore invece degli occhi – il troppo applaudire del pubblico ne è stato testimone.
Per quanto la compagnia stessa porti alta la bandiera del nuveau cirque mettendo in risalto l’essere umano e liberandosi dunque dei cliché del circo tradizionale, si perde questa identificazione Nonostante gli artisti cerchino di condividere con il pubblico le loro sensazioni, le proprie vite, gli aneddoti che caratterizzano il loro percorso, lo spettatore si trova sconnesso dal riconoscere e ricostruire la personalità di ognuno, preoccupandosi piuttosto della buona riuscita dell’esecuzione del numero.
In ogni caso si può definire Traces un tentativo di rottura con il passato, una ricerca desiderosa di modificare i vecchi costumi raccontando il presente, aprendosi verso nuove e diverse forme d’espressione.