con la collaborazione di Emanuela Laurenti
In occasione del centenario dalla nascita, il Complesso del Vittoriano ospita una personale sul grande maestro italiano. “Guttuso. 1912-2012”.
Guttuso. 1912-2012
a cura di Fabio Carapezza Guttuso e Enrico Crispolti
Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere, Roma
fino al 10 febbraio 2013
«La pittura va presa di petto, come ogni cosa decisiva non si può girarle attorno con più o meno raffinate carezze. È necessario entrare nel cuore della pittura per intenderne le ragioni».
E di ragioni l’artista siciliano ne aveva: pittore, restauratore, scenografo, giornalista, attivo nella resistenza, e altro ancora. Una personalità poliedrica, quella con cui ci si scontra nelle sale del Vittoriano, disorientati e ammaliati da quel linguaggio cromatico, immersi in un credo viscerale vestito di poetica realtà. Attento alla bellezza e alla verità, Guttuso ferma magistralmente il reale mettendo in scena gli attimi fatti di persone e di vita. Affonda il pennello nel tempo, collettivo e politico, donandoci un affresco prorompente della storia italiana, dal dopoguerra agli anni settanta. E lo spettatore è lì a conquistare spazi di memoria, respirando una consapevolezza morale e civile attraverso profumazioni simboliche. Insomma inspira l’arte e quella funzione sociale in cui Guttuso intensamente crede. Artista libero, nell’uso delle sue forme, dei corpi nudi, e soprattutto dei suoi colori così forti che, come nel grande quadro I funerali di Togliatti, calamitano lo sguardo e attivano il tatto. Quelle rosse bandiere le si toccherebbe.
Nell’attraversare le cento opere, messe insieme dalla cura di Fabio Carapezza Guttuso e Enrico Crispolti, si distingue l’evoluzione pittorica e di pensiero del maestro che ha collaborato, tra l’altro, con personaggi come Moravia, Pasolini, Sciascia, Neruda, Visconti, De Sica, Picasso. Ed è proprio l’intesa con il maestro e amico spagnolo, ad essere omaggiata nel Convivio: Picasso e i suoi personaggi, a offrire ulteriori spazi di ispirazione e creazione. Per afferrare il pittore siciliano bisogna soffermarsi anche e molto su questi rapporti umani, che tanto l’hanno influenzato.
È un realismo imbarazzante quello che traspare nelle scene di vita de La Vucciria, La Zolfara, La Spiaggia, omaggi pittorici alla sua terra natia. Ma è l’esperienza capitolina, che perdurò oltre cinquant’anni, quella senza dubbio più vitale e vibrante. Guttuso abitò e dipinse la città eterna in maniera decisiva e penetrante, sociale e politica. I salotti, le trattorie, i caffè, sono parte fondamentale della vita dunque della sua opera. Il filo su cui si muovono, infatti, è unico: Guttuso fa della sua stessa vita un’opera d’arte.
Un maestro che sapeva arrivare al punto, senza troppo girare. D’altronde, parole sue: «Il quadro o lo si apprezza subito o sfugge».