La vita digitale sono paesaggi liquidi. Trasformazioni urbane e rurali livide. Panorami sonori e visivi tragici, in cui la presenza umana, ove presente, è solo una minaccia.
Titolo: Digital Life. Liquid landscape
Quando: dal 10 ottobre al 1 dicembre
Luogo: Macro Testaccio, Opificio Telecom Italia e MAXXI (fino al 10 novembre)
Guarda: http://youtu.be/cZIixYs5op4
«In mostra organismi autosufficienti in cui la natura è la protagonista» dichiara Daniele Spanò, curatore di questa quarta edizione del Digitale Life dedicata alle connessioni tra i linguaggi artistici contemporanei e le nuove tecnologie, in una crew che comprende Monique Veaute e Fabrizio Grifasi, rispettivamente Presidente e Direttore della Fondazione Romaurupoa, Alain Fleisher, Direttore de Le Fresnoy, centro belga di eccellenza per la produzione artistica digitale e vera novità di questa edizione. «Sono visioni di futuro. O di passato in cui le città, in via di estinzione o mutazione radicale, lasciano le tracce dei fenomeni, fisici, della trasformazione». Paesaggi interattivi e sonori, in cui lo spettatore si trova all’interno dell’azione e con spirito utopico, con la sua muta presenza, con la memoria visiva può, non solo creare e costruire architetture visive e narrative ma soprattutto, ricostruire. Ricostruire giocando, decidendo, ad esempio, su quale porzione di paesaggio concentrare la percezione uditiva. Fichi d’India e Ulivi che abbattono il muro tra Palestina e Israele in cui la natura riprende il proprio paesaggio, mutato dai conflitti, che non può essere separato nella sua morfologia. Ostie analogico-digitali prodotte da una macchina basata su circuito Arduino e posta all’ingresso come simbolo di una natura che fa da sè. Video di durata variabile in cui break dance, paesaggi industriali, vecchi vagoni, auto, palazzi, ciminiere e strade sono i protagonisti di una saga metropolitanea in cui York non è più tanto nuova.
Nei lavori emerge il matrimonio, la composizione stretta tra molteplici fonti creative: musica, voci, field recordings, foto, video, disegno. Non ci sono frontiere ideologiche. Gli artisti in mostra al MACRO sono essi stessi senza frontiere per nascita, crescita e ispirazione. Le frontiere: entità astratta, come le nazioni. «Sono i popoli che, eventualmente, hanno differenze» afferma sommessamente Du Zhenjun. Nel suo lavoro, un trittico fotografico ottenuto da collage digitali, ci sono babeliche costruzioni, Colossei aumentati e grattacieli moltiplicati che sovrastano diluvi di immagini di inondazioni prese dal web, vento della globalizzazione che abbatte e uniforma le differenze, rovina e distruzione delle icone del potere (soprattutto USA e URSS). Terzi paesaggi concettualmente contaminati ma vuoti, in cui un bestiario sonoro domestico e selvaggio crea un palinsesto visivo (Denis Venturelli nella sua Rapsodia suburbana). Giri turistici alla centrale nucleare di Chernobyl in cui la fusione (!) di video tra estate e inverno racconta la vittoria della natura sugli errori umani, anche se restano scorie di animali nucleari.
La navetta allestita per portare i giornalisti al MAXXI priva chi scrive della visione delle opere della sezione The world you own. La presentazione si conclude quindi con l’opera del friulano Daniele Puppi. Una costruzione video che per dinamicità ricorda le pale degli elicotteri, che rallenta e riprende velocità e che attraversa secoli di arte figurativa (evocazioni di corpi rinascimentali, di fantasie alla Arcimboldo, lisergie cromatiche di un La Chappelle ectoplasmi erotici di manga giapponesi).Un disco, che è grano, mollusco, zucca, noce, foglia, frutto che dà vita, che ricorda e che fa perno su un ambiguo foro che nei colori è la vulva (o l’ano?) del Manara più erotico e nel tratto la Valentina del Crepax più pornografico. Un messaggio meraviglioso di vita, di creazione, di femminilità che rigenera. Tutte queste visioni liquide hanno in comune la rovina catastrofica e, nel migliore dei casi,la congestione emotiva. Sono certamente uniche perché connesse all’artista che le inventa ma sorelle, perché fraterno è il desiderio di oltrepassare frontiere, abbattere muri (del suono, dei conflitti). Tornare all’innnocenza, toglier l’umano dalla natura, è la suggestione familiare a tutti gli artisti in mostra (o quasi, il che dimostra come l’eccezione confermi la regola).
Il mondo, così come lo conosciamo, non vuole esser più così come lo abbiamo posseduto, un altro modo è auspicabile.