Reportage fotografico a cura di Valentino Mochi
Avvertenza: la parola amore ricorre quasi ogni frase, astenersi perditempo.
L’intervista è stata possibile grazie all’aiuto di Basco Morozzo che ringrazio.
Annie’s Song, testo di John Denver, che chiude il servizio, la dedichiamo a Lou Reed.
Il cantautore, figlio d’arte, australiano ma di stanza a New York da un quindicennio presenta il suo ultimo lavoro. Uscito questa estate per la fidata Glitterhouse Records, già etichetta di altre penne pesanti (d’animo) come i Codeine e, in collaborazione con la Sub Pop di Seattle, gli Afghan Wighs e Mark Lanegan.
Dove: Angelo Mai Altrove
Quando: 27 ottobre 2013
Ascolta:
Scott, accompagnato al piano da Eugene e dalla chitarra di Jurgen, non abbandona il suo stile caldo e arioso, lo scarnifica però di ogni ritornello pop. L’album è composto di sole cover. Si va da Withney Houston a Neil Young, incrociando Radiohead e Charlie Chaplin. Abbandonata la melodia corallina, ukulele e chitarra in spalla, viaggia per territori desertici e arriva dall’altra parte della musica. Quella nuda e cruda, cristallina però, non nera. Nera e pesante è ogni anima in pena d’amore. E, nell’album, di amori in pena, ce n’è a tonnellate. Un peso che lo fa sudare subito dopo il primo brano. Ogni uomo, ogni donna è un Cristo, come lascia intendere la mistica cover di Unlearned (Disimparato). Come nascono i brividi? Come nasce una canzone? Quando? Dove? E perché? L’anima di Scott è esposta, siede scomoda, traballa, un’ipersensibilità testimoniata dalla fisicità delicata e pudica che evoca (ci prendiamo delle responsabilità) Jeff Buckley. Preghiere, atti di dolore, invocazioni e sogni infiammano di bellezza il parterre stracolmo dell’Angelo Mai. Ballate dolenti, intime, appassionate. To love somebody, Love will tear us apart, Smile, Total control. Ogni reinterpretazione di questi grandi classici, è una miscela esplosiva formata da due parti di ombra, una di solitudine, mezza d’ironia e gocce di lacrima a chiudere. La simpatia e la cordialità dell’artista aiutano a sopportare queste enormi dosi d’incomunicabilità affettiva.
Cosa significa per te contemporaneo?
«Non molto, io sono incastrato nei secoli bui, non sono molto tecnologico, posseggo uno smartphone ma quando si tratta di musica, non uso molto la parte tecnologica, sono basico, non so molto di contemporaneo»
Come definiresti il tuo comporre musica?
«It’s a mind fuck! Non ho mai preso lezioni di musica, quindi le canzoni nuove me le invento e non ho mai una memoria sensoriale di come l’ho fatta. Ogni volta che ne finisco una ho il terrore di non essere in grado di rifarne un altra, perché non ne conosco il metodo, è come fossi in una trance. Per me è una cosa assai stressante scrivere canzoni»
Qual’é lo strumento più bizzarro con cui hai lavorato?
«Una volta avemmo una kalimba, e usammo quella per un disco. Credo sia la cosa più folle e strana che ho usato, non sono una persona molto folle!» (ride)
Qual’è la tua fonte di ispirazione?
«In una parola: Love»
Quale domanda ti piacerebbe ti venisse posta?
«Ah… l’altro giorno qualcuno mi ha chiesto come definirei la felicita (pare che ci sia una grande preoccupazione per la melanconia delle mie creazioni/performance) ed io ero molto colpito e interessato dalla questione. La mia risposta è stata semplicità: se la vita è semplice, per me è una vita felice»
La voce di Scott è una voce che sospira l’amore, una voce che si lascia amare. Incanta, strugge, solleva, incuriosisce, delizia e sospende come comanda amore. Accordi di piano a saturare di dolcezza l’aria. Le corde dell’ukulele per evocare paradisi perduti e la chitarra, perfetta, a stendere una patina di rarefatto folk, talmente rallentato che un attimo dopo sarebbe sgangherato ma che così è come essere depressi e felici, appena svegli e con qualcuno che ti prepara il caffè e te lo porta a letto. Suono pieno, limpido, pulito, a tratti sinfonico, rock in assenza di gravità, che parla l’amore. Ma le cose dell’amore non s’imparano, è raro, sono imparabili e c’è sempre il rischio che le disimpari appena acquisite. Insomma, è inutile continuare a parlarne, dovremmo perdere il controllo totale e imparare a memoria la canzone di Annie…
Tu riempi i miei sensi Come una notte nella foresta Come le montagne in primavera Come una camminata nella pioggia Come una tempesta nel deserto Come un sonnacchioso oceano blu Tu riempi i miei sensi Vieni a riempirmi di nuovo Vieni e lascia che io ti ami Lascia che io ti dia la mia vita Lascia che io affoghi nella tua risata Lasciami morire tra le tue braccia Lasciami dormire accanto a te Lasciami sempre stare con te Vieni e lascia che io ti ami Vieni e amami di nuovo Lascia che io ti dia la mia vita Vieni e lascia che io ti ami Vieni e amami di nuovo Tu riempi i miei sensi Come una notte nella foresta Come le montagne in primavera Come una camminata nella pioggia Come una tempesta nel deserto Come un sonnacchioso oceano blu Tu riempi i miei sensi Vieni a riempirmi di nuovo